| macchè...posto subito.....ariva!!! con una "r" così arriva prima
ULTIMO CAPITOLO
Aveva pensato almeno un paio di volte di frenare, girare l’auto e tornarsene a casa. La curiosità che la stava guidando sembrava trasformarsi in sofferenza. Come la volontà di sporgersi da un precipizio e sapere che più ti avvicini e più alte saranno le probabilità di cadere, lei voleva andare avanti, non le interessava di cadere; voleva sapere da che altezza sarebbe saltata e quanto si sarebbe fatta male. Si, sapeva che se ne sarebbe fatta. Solo non capiva ancora quanto. E schiacciò ancora di più il piede sull’acceleratore. Sapeva dove si trovava la casa di House, ma non c’era mai entrata. Era arrivata solo fino alla porta, una volta sola, per parlare con House. Lui non la fece entrare. Si chiese come mai la fece restare fuori, ma mettersi nella testa di House era sempre stato arduo, così come era impossibile per chiunque capire secondo quali dinamiche agiva.
Stette in piedi di fronte ai tre gradini che l’avrebbero accompagnata alla porta della casa che fino a sette mesi prima era di House. Non sapeva se doveva considerarla ancora come sua, lui non c’era più, in fondo. Due giri di chiave, una grossa stanza buia. Grazie alla luce che entrava dal piccolo atrio, vide il generatore di corrente. Alcuni secondi dopo accese anche la luce. Le venne un conato di vomito. Non per l’odore, non per la polvere. La casa era intatta, sembrava che House avesse preso l’indispensabile e poi fosse scappato. Era il pensiero che fosse scappato da lei a farla stare malissimo. Le era stato detto che la decisione di andarsene House l’avesse presa prima di essere stato con lei, ma la fretta della fuga era così evidente: riviste e libri erano ancora sul tavolino davanti al divano nero in pelle, un bicchiere era sul pianoforte. Il pianoforte. Non sapeva che ne avesse uno, tantomeno riuscì a immaginarlo mentre lo suonava. Ecco, era proprio questa una scena che le sarebbe piaciuto vivere con lui, stare seduta sul divano del suo appartamento mentre lui suonava. Sfiorò i tasti del piano, gli stessi che aveva toccato anche lui, e socchiuse gli occhi. Si accorse che tutti i ricordi di House che aveva cercato di bandire dalla sua mente erano tornati. Avrebbe voluto riavere tutto indietro. Avrebbe voluto riavere House indietro. Pianse, silenziosamente. Era comunque ospite in quell’appartamento abbandonato, non voleva disturbare quelle mura. Vide altri libri, una quantità infinita di cd, in linea con l’amore per la musica che sprigionava il pianoforte abbandonato da mesi. Si avvicinò alla camera da letto, lasciata con la porta spalancata. Non c’erano lenzuola e l’armadio era vuoto. Si sedette sul materasso e provò vergogna di sé stessa quando ebbe la voglia irrefrenabile di aprire il cassetto del comodino. Comunque decise di farlo e vide che conteneva una sola cosa. Una fotografia. Scattata l’ottobre dell’anno prima, durante la festa di beneficenza che Cuddy aveva organizzato in ospedale. La fotografia ritraeva lei e House, vicini ad un pianoforte. Diamine, non si ricordava nemmeno che gliel’avessero scattata. Erano in posa uno vicino all’altra, lei indossava un abito verde scuro. Gettò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi. House non aveva portato con sé quella foto. Nella sua mente lo vedeva mettere nella valigia le cose importanti, e lasciare in quel cassetto la fotografia. Non era amore, quindi? Si stava forse aggrappando alle illusioni di una storia che poteva essersi creata solo nella sua testa? Una notte d’amore le aveva condizionato la ragione talmente tanto che forse, a questo punto, era legittimo pensare che i suoi sentimenti, le sue sensazioni e i suoi ricordi fossero stati troppo amplificati? Quanto di ciò che provava era frutto di una sua illusione? Non sapeva più nulla. Nessuna risposta. Non capiva. Fino a che punto quello che provava era frutto della realtà o di frustranti illusioni nate dalla solitudine di questi mesi. Non era amore. O se lo fosse stato, era finito. Finì per sentirsi vuota dentro, mentre pensava a queste cose e guardava fuori dalla finestra della stanza da letto. Era vuota, anche perché il tormento di un amore che l’aveva abbandonata non era più qualcosa a cui lei stessa permetteva di aggrapparsi. Si alzò lentamente dal materasso. Dalla finestra vide che scendeva ancora la neve. Si girò verso la porta della camera per uscire. House la guardava appoggiato al muro. Cuddy aveva il volto ancora segnato dalle lacrime, la fotografia in mano. Chiuse gli occhi, pensando per un istante che la figura di House fosse frutto della suggestione. Quando li riaprì era ancora lì. “Hai tagliato i capelli. Non farlo più.” Lei gli si gettò al collo. Lo abbracciò con tutta la forza che aveva. Lui la baciò con avidità, si accorse che Cuddy piangeva copiosamente quando trovò anche le sue guance bagnate. Volevano amare qualcuno. Volevano amarsi. Solo l’amore li avrebbe resi liberi. Liberi dalle domande, dai dubbi, dalle illusioni. Si ritrovarono in quella sera d’inverno, con la neve che copriva il passato. Il dolore di un amore sofferto li avrebbe segnati per sempre, il tempo non avrebbe avuto la forza di cancellare quei mesi troppo densi di emozioni. Ma erano insieme ora, volevano stringersi, guardarsi e parlarsi. Avrebbero avuto tante cose da dirsi. Si erano aspettati, in fondo, e con un solo sguardo quella sera capirono che era amore. Nessun’altra attesa. Nessun dubbio. Mai più uno senza l’altra. Lisa e Greg. Semplicemente.
FINE
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