4x03 97 Seconds/97 secondi, Chase rulez!

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Thinkpink
view post Posted on 13/10/2007, 22:01 by: Thinkpink




Episodio da top ten. Un ritorno alle origini, alla vera essenza di House, un House cinico e disincantato che si misura con uno dei grandi misteri della vita.

Il caso della settimana mi ha toccato molto e mi ha colpito la profonda solitudine del ragazzo che muore accarezzando il suo cane, stanco di una vita difficile e piena di disagio e sofferenza. Mi è piaciuta l’interazione dei nuovi Ducks, e mi sono piaciute particolarmente le donne, 13 e 24 in testa. La 13 perché è semplice e non si lascia intimorire né spiazzare da House. E’ preparata, ha iniziativa e gioca corretto. Non vorrei che potesse risentire di una sorta di pregiudizio dovuto alla sua bellezza. Sarebbe un peccato. Non è una copia di Cam, osa e non è un’insicura come lo era la Cam alle prime armi. Ha azzeccato la giusta diagnosi al primo colpo, anche se a causa sua il paziente è morto. Il confronto finale con House che si prende le sue responsabilità, scegliendo lei e licenziando le altre tre donne è significativo: House si fida di lei.
La 24 è un portento perché ha una strategia chiara: non ha paura di giocare sporco o di mostrarsi per quello che è, pur di arrivare al risultato…effettivamente un po’ come House, una ...tagliagole in effetti, ma simile. Intraprendente a tal punto che House chiama lei quando fa l’esperimento….

Chase che spiazza House si conferma uomo e medico cresciuto e veramente indipendente e mi piace che Cameron apprezzi…Foreman invece sta attraversando la fase “sbatti la testa contro il muro per sentire quanto è duro”: un po’ più tardivo, inizia a comprendere che non tutto quel che luccica è oro e viceversa…Voleva diventare come il suo attuale capo, e per contrappasso, viene licenziato per avere salvato una vita. Si ripete la lezione di DNR. Tre stagioni sono passate invano, ma speriamo che ora abbia capito finalmente quale medico vuole essere.

Carinissime le scene House/Cuddy/Wilson, con quest’ultimo veramente preoccupato, anche se non meravigliato più di tanto del gesto di House. L’”I love you” detto da un Amico a un Amico è una frase detta con Amore, senza alcuna connotazione di carattere sessuale e mi piace sia stata detta, perché il rapporto tra i due è così profondo, intenso ed incondizionato da superare ogni classificazione. House lo ama, perché sa che Wilson ci sarà. Sempre. Dio, come vorrei avere un amico così.

E veniamo ad House. Come si fa a non amarlo?
La grandezza di House sta nell’essenza del personaggio “politicamente scorretto”, che sta permettendo ad autori capaci di osare e di esplorare orizzonti finora sconosciuti in TV. A differenza di altri procedural, dove sono le storie ad essere protagoniste, in House l’essenza sta nel modo in cui lui affronta i problemi e nelle sue manie, nelle sue ossessioni, nelle sue stravaganze e nei suoi eccessi: è il personaggio che sorregge la storia e non viceversa. Episodi come questo lasciano il segno più di altri (al di là del caso clinico): sono “episodi al limite” in cui il limite viene sfiorato volontariamente, in perfetta lucidità e consapevolezza per scuotere le coscienze

Tutto l’episodio ruota intorno all’ossessione scatenata dai “the best 97 seconds in my life” ovverosia, “the one thing” perfettamente descritta in DNR da John Giles: “I know that obsessive nature of yours, that’s a big secret. You don’t risk jail and your career just to save somebody who doesn’t want to be saved unless you got something, anything, one thing. The reason normal people got wives and kids and hobbies, whatever. That’s because they don’t got that one thing that hits them that hard and that true. I got music, you got this. The thing you think about all the time, the thing that keeps you south of normal. Yeah, makes us great, makes us the best.”

House non è interessato al caso del ragazzo tetraplegico. La 13 ha ragione: non è un caso intrigante alla “House”, è strumentale per rendere interessante ai suoi occhi la gara. Si sta già stancando dei nuovi paperi e quindi affida loro un caso a prima vista semplice, che lui reputa avere sotto controllo, inventandosi la divisione in due squadre per rendere il tutto solamente più eccitante, per lui. Quando poi le cose si metteranno male allora, ma solo allora entrerà anima, mente e corpo nel caso ed urlerà di dimenticare il dannato gioco e di pensare solo alla vita del paziente. Ma non perché poi gliene freghi più di tanto, le sue parole al paziente terminale sono veramente atroci se si pensa al modo ed al contesto in cui vengono dette. Nessuna empatia, nessuna compassione: solo l’ossessione, che lo perseguita e non gli dà tregua...è come se House si rivolgesse a se stesso, con rabbia ed aggressività…l’aldilà non è Detroit e le certezze di House sono poi le certezze di ogni altro essere umano nei confronti dei grandi misteri della vita: nessuno di noi ha la garanzia di conoscere La Verità…House cerca la risposta assoluta ed è affascinato dalla sicurezza del paziente che ha già provato quella meravigliosa sensazione anche per un altro motivo. Nella sua condizione di sofferente cronico il miraggio del piacere inteso anche solo come totale assenza di dolore, diventa una tentazione irresistibile. Non è la prima volta che House tenta il “gioco sporco” ( in Insensitive con Hannah, la paziente affetta da CIPA e In Half wit, dove finge addirittura il cancro) e qui ha l’occasione di sperimentare direttamente su se stesso (senza chiedere permessi o sottoporsi a a selezioni)… esattamente come il dr. Jeckyll, deve, a qualunque costo misurarsi con il limite estremo. Sfidare se stesso, sfidare l’incognito, trovare La Risposta.

E c’è una differenza con Three Stories. Allora “l’esperienza della morte con ritorno” non fu cercata consapevolmente: “I choose to believe that the white light people sometimes see visions, this patient saw. They’re all just chemical reactions that take place when the brain shuts down. There’s no conclusive science. Solo gli idioti hanno certezze. House qui cerca la prova o almeno la conferma della sua convinzione.
Mentre in No Reason ciò che è emerso è stato il subconscio di House, il lato più nascosto e, guarda caso anche lì affiorano i dubbi, che sono ciò che rende vivo l’uomo e non gli permettono di adagiarsi sui traguardi raggiunti.

House stavolta non ci dice cosa ha visto o sentito, ma la frase finale “I’m sorry to say: “I told you”” (che alla prima veloce visione dell’episodio avevo interpretato come scuse e mi avevano lasciata interdetta) ci svelano due verità che fanno la differenza. La prima è la conferma che House non ha visto la luce. La seconda è che forse, avrebbe voluto vederla…..

 
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34 replies since 9/10/2007, 23:22   762 views
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