Rêverie, House/Battlestar Galactica...

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Jade_Cameron
view post Posted on 3/9/2006, 11:11




E questa è la riprova che Il Gioco del Dodici è il MALE, perchè fino a quel momento mai avrei pensato ad accoppiare questi due.

6) Cinque/Dieci farebbero una bella coppia? Perchè?

Six e House… beh, se Six gli andasse in giro per l’ospedale come va abbigliata nella mente di Baltar, sono certa che un effetto lo provoca… e poi sappiamo quanto piacciano ad House i rompicapi!


Peccato che Six abbia iniziato ad andare in giro così anche nella mia testa e non schioderà fino a quando non avrò scritto la parola fine a questa fic.

***


La ragazza col vestito rosso.
No, non quella di Matrix. Gregory House era stato molto fiero di annunciare a Wilson che lui una volta aveva avuto la sua personale ragazza in rosso. Una vera apparizione. Capelli di un luminoso biondo miele, pelle d’alabastro, sottile come un fuscello. Portava dei tacchi a spillo che per molte sarebbero stati importabili ma su cui lei si muoveva con grazia innata, ed era fasciata in un abito rosso fuoco che lasciava ben poco all’immaginazione. Non aveva nessun gioiello a parte un braccialetto d’argento.
Wilson a quel punto aveva preso un’aria offesa, e aveva detto che se se House voleva farsi perdonare doveva dargli subito il numero di quell’accompagnatrice.
“Dolente di deluderti, Jimmy” aveva risposto con un sogghigno House “La signorina in questione non è un’accompagnatrice.”
Wilson insisteva sul contrario. Non c’era nessuna possibilità che una ragazza del genere si fosse consapevolmente accompagnata ad House, a meno che non fosse una del mestiere, e pure una di quelle care. House però non raccontava mai tutta la storia. Preferiva che tutti immaginassero quella splendida creatura con il suo vestito, i tacchi a spillo e un sorriso seducente sulle labbra, e morissero d’invidia… o gli dessero del bugiardo, cosa che quando aveva ragione lo divertiva particolarmente. Non diceva mai che quando aveva visto quella ragazza, aveva gli occhi colmi di lacrime e un’espressione di enorme e profondo dolore sul viso.
E soprattutto che lui in quel momento stava avendo un arresto cardiaco a causa delle tossine liberate nel sangue dai tessuti morti nella sua gamba.
Pur non essendo credente, quando l’aveva vista sulla soglia della sua stanza, con una mano portata alla gola, aveva pensato che gli angeli esistevano davvero. Poi analizzando la cosa, aveva concluso che nemmeno l’angelo della morte avrebbe potuto andare in giro abbigliato a quella maniera.
Forse un emissario di Satana… ma l’espressione addolorata non collimava. House decise di smettere di pensarci, bollando la cosa come un’allucinazione, e di attenersi alla prima parte della sua storia.
Questo fino a qualche giorno dopo lo sparo. Si era di nuovo trovato in un letto d’ospedale, di nuovo era stato vicino a restarci, ma questa volta era da solo. Questo rafforzò l’idea dell’allucinazione casuale. Quasi rise di sé stesso per aver addirittura pensato che gli angeli esistessero.
Il sorriso gli morì sulle labbra quando, appena alzato lo sguardo dal suo Gameboy, la ragazza in rosso – stessa donna, stesso vestito, stesso tutto – passò nel corridoio di fronte al suo ufficio. Non aveva per niente un’aria triste… anzi, gli sorrise radiosa e passò oltre. House rimase in shock per qualche instante, poi cercando di correre più velocemente che poteva andò nel corridoio e intravista un poco avanti a lui cercò di aumentare il passo. La ragazza girò l’angolo… e scomparve.
House si guardò intorno. Niente, nessuna traccia. Anzi, quando si voltò si trovò davanti una vecchietta sdentata e con una brutta eruzione cutanea che gli sorrise ammaliante. Convincere i muscoli facciali a contrarsi e non in un’espressione completamente disgustata fu in quell’occasione veramente molto difficile.
La rivide di nuovo il giorno seguente, più volte nell’arco della giornata, e ogni momento più a lungo.
Si disse di nuovo che era un’allucinazione. Che altro poteva essere? Le cause poi potevano essere molteplici: qualcuno poteva avergli sciolto dell’acido lisergico nel caffè, per esempio. Avrebbe bastonato Foreman per quello, lui e i suoi amichetti del ghetto. Oppure era stanco. Poteva sempre essere. O poteva essere la ketamina che gli faceva qualche scherzetto, non era certo acqua, ma neanche il suo vecchio compagno Vicodin lo era.
No, meglio la prima versione. Qualsiasi scusa gli permettesse di tormentare Foreman era cosa buona, giusta e legittima.

Ma Foreman ovviamente non ne sapeva niente (“Con tutte le persone che ti odiano e ti vorrebbero morto vieni proprio ad accusare me?”), né Chase (“Sei sicuro di non aver esagerato con il dosaggio dei farmaci? Sai, con i tuoi precedenti…”), e tantomeno Cameron, la quale non disse niente ma esaminò per un attimo la possibilità di fargli quello scherzetto e poi fargli la paternale che lui aveva fatto a lei quell’unica volta che si era fatta di anfetamine. Poi si ricordò di essere geneticamente incapace di fare qualcosa anche solo di vagamente trasgressivo e di farla franca con House nei paraggi. (Tutti però si domandarono per tutto il pomeriggio per che cosa fosse quel sorrisetto che Cameron avesse sulle labbra. Vista l’incapacità materiale, almeno la fantasia…)
Provò a far cadere in trappola Wilson, visto che lo sapeva in grado di rispondere ai suoi scherzi idioti colpo su colpo. E aveva osato segare il suo bastone, cosa che tutti prima o poi avevano sognato di fare. No, Wilson non aveva LSD, ma se voleva poteva offrirgli una canna, visto che il suo paziente col glaucoma era tornato per un controllo.
Non potendo rifiutare un così cortese invito, ne prese due progettando di fumarsene una sul balcone e una a casa.
Poi vide la ragazza in rosso, seduta sulla sua scrivania con le gambe accavallate, e d’un tratto gli passò la voglia.
Ad essere precisi, più che la ragazza House guardò le sue lunghe gambe. E gli immancabili stiletti rosso fuoco, in abbinamento col vestito.
“Non che mi dispiaccia, ma ad ogni modo io sono un po’ più in alto.”
Questo bastò a far scattare gli occhi del dottore dalle gambe al viso della donna. Era la prima volta che la sentiva parlare.
“Se vuoi che qualcuno ti guardi in faccia, allora evita di andare in giro con quel vestito.”
“Sfortunatamente, il mio abbigliamento non è un’opzione che puoi discutere” sorrise la ragazza, dondolando leggermente il piede che non toccava il suolo. “In compenso, possiamo discutere di molte altre cose.”
“Compenso, hai detto? Beh, in tal caso il tuo abbigliamento è perfetto. E quanto prendi a notte?”
La ragazza si limitò a inclinare la testa e a sorridere di nuovo “Hai visite, Gregory.”
House si girò verso la porta, e vide Wilson venire verso di lui.
“L’offerta era per una. Ti ricordo che al mio paziente quella roba serve!”
“Non ti facevo così accanito sostenitore delle terapie alternative. Le provi le cose che prescrivi?”
Wilson scosse la testa in esasperazione, e tese la mano.
“Ah, e a proposito di esperienze, di lei che ne dici?”
Wilson lo fissò confuso “Di chi?”
“Capisco che quelle gambe possano distrarre, ma…”
House fissò la scrivania. Eccetto le sue carte e l’I-Pod, sopra non c’era nessuno.
“Era lì… appena cinque secondi prima che arrivassi tu… anzi, me lo ha fatto notare proprio lei…”
Wilson fissò l’amico con un sopracciglio alzato, e decise di andarsene. Non poteva esigere la restituzione di una canna che si era evidentemente già fumato.
House ritornò lentamente verso la scrivania e si sedette. Afferrò la sua tazza, fissandola con aria perplessa. Nel dubbio, buttò il caffè nel lavandino.
Stava iniziando a pensare che forse, nel suo stato, fumarsi quelle canne o farsi un goccio non fosse una buona idea.
Quando, una volta a casa, vide la ragazza vicino al suo pianoforte, decise che l’idea era davvero, davvero pessima.
"Come diavolo sei entrata?"
"Non è questo il punto. Te l'ho detto, abbiamo molto di cui parlare."
E decise anche che da quel momento in poi avrebbe ignorato la ragazza, chiunque o qualunque cosa lei fosse.
“Gregory, non è affatto carino quello che stai facendo.”
House continuò a ignorarla. Si mise sul divano, e iniziò a guardare una replica di General Hospital. Pur cercando di non farci caso, sentì distintamente il rumore dei tacchi a spillo muoversi sul pavimento di legno. Con la coda dell’occhio vide le mani della ragazza alla sua destra e alla sua sinistra, appoggiate allo schienale del divano.
“Non durerà” disse rivolgendosi alla coppia dello schermo “Lui è gay e lei è aliena.”
House si girò a guardarla, piuttosto seccato. La ragazza sorrise soddisfatta.
“Finalmente! La mamma non ti ha insegnato che non è carino ignorare le persone quando ti parlano?”
“Tranne quando dicono assurdità o mentono, ovvero la maggior parte delle volte. Ma non è questo il punto… tu non sei una persona. Non esisti.”
“Lo pensi davvero?” disse lei, mettendosi davanti all’uomo e nascondendo il televisore.
“Sì, davvero” disse lui, cercando di allungarsi per vedere la sua soap.
“Mi ci hai costretto tu, ricordatelo.”
“Costretto a c…?” mormorò distrattamente House, prima di spalancare gli occhi per la sorpresa.
La sua allucinazione lo stava baciando. E lo stava facendo piuttosto bene, a dirla tutta. Meglio di un’accompagnatrice, e diecimila volte meglio di Stacy, che quando lo faceva ci metteva la verve di un bradipo.
Non sapeva quando, ma le sue braccia si erano avvolte intorno alla ragazza, ora seduta sulle sue ginocchia. D’improvviso com’era iniziato, il bacio s’interruppe e lei fissò House negli occhi da molto vicino, poi chinandosi verso il suo orecchio destro.
“Ti sembro ancora un’allucinazione?” sussurrò.
House era troppo sconvolto per rispondere. La ragazza guardò la sua espressione divertita, e si alzò in piedi. Spense il televisore, e si sedette nella poltrona messa opposta al divano.
“Il mio nome è Numero Sei. Puoi chiamarmi Six.”
“Che razza di nome è Six?”
“E che razza di nome è Gregory? Ma neanche questa è una materia su cui discuteremo. Ne abbiamo molte altre, e tutte più interessanti.”
House si allungò a prendere il bicchiere e la bottiglia di whisky che stavano sul tavolino vicino al divano, e se ne versò una dose più che generosa.
“Non mi farà sparire.”
“Se devo parlare con un’allucinazione…”
“Non sono un’allucinazione” lo corresse Six.
“…o quel che è… credo che la mente non lucida sia una condizione fondamentale.”
Six lo guardò mandare giù il bicchiere colmo fino all’orlo in un colpo solo. Lo osservò strizzare gli occhi, probabilmente pregando di vedere solo una poltrona vuota quando li avrebbe riaperti. Cercò di non ridere, quando vide la sua faccia dopo aver riaperto gli occhi.
“Io ti avevo avvisato.”
House si passò una mano sulla faccia. Assurdo. Era assurdo. Cos’era, l’universo che si prendeva gioco di lui?
Fece quasi per versarsene un altro, ma Six lo interruppe, con un tono freddo che non le aveva mai sentito.
“Smettila di comportarti come un idiota” sibilò. “Io non sparirò solo perché lo vuoi tu. Sono qui per un motivo, e non me ne andrò prima di aver raggiunto il mio obiettivo.”
“E sarebbe?”
“Farti capire che stai vivendo una menzogna. Che niente di quanto vedi, o percepisci, è reale. Eccetto me.”
Al che, House le rise in faccia.
Six, riprese lo sguardo gelido di poco prima e si alzò dalla poltrona.
“Posso aiutarti e lo farò. Scegli tu come… ma ti avviso, mi stai facendo innervosire. E non è una buona cosa.”
“Perché, sei un’allucinazione che soffre di pressione alta?”
Six strinse gli occhi e si diresse verso la porta “Non mi vuoi prendere sul serio? Benissimo. Te ne farò pentire amaramente.”

House passò i due giorni seguenti da solo. Sembrava che qualsiasi fenomeno avesse dato vita a Six, fosse sparito com’era iniziato. Commise l’errore di pensare che fosse finita.
Aprì la porta della sala visite Uno, e si trovò davanti Six, con un camice ospedaliero, seduta sul lettino.
“Alla buon’ora” sbottò. “Lo sa che la sto aspettando da un’ora?”
House ridacchiò “Ma guarda chi si rivede. Six. Avessi saputo che eri tu, non sarei nemmeno venuto!”
La donna lo guardò con aria perplessa “Six? Io mi chiamo Natasha!”
“Sì, certo… e di cosa avresti bisogno, Natasha?”
“Di un controllo medico per un nuovo lavoro” borbottò, contrariata dai modi scortesi del medico.
“Ovvero andrai a scocciare qualcun altro? Allora sarò felicissimo di fartelo!”
Passarono cinque minuti, dopo i quali quella donna uscì dalla sala visite e dall’ospedale.
Il mattino seguente, quando si presentò al lavoro, venne convocato d’urgenza da Cuddy. Nell’ufficio, oltre a lei, House trovò anche l’avvocato dell’ospedale.
“Io non c’ero e se c’ero dormivo” disse sedendosi.
Nessuno cambiò espressione, nemmeno Cuddy per fare una delle sue solite facce scocciate.
“Conosci una donna di nome Natasha Helfer?”
“Mai sentita prima. Abbiamo finito?”
“La signorina Helfer è venuta qui per un controllo di routine ieri. Appena uscita d qui, ha sporto denuncia contro di lei” disse l’avvocato.
“Continuo a non sapere chi sia…”
“House, quella donna ti ha accusato di molestie. Ed è stata molto precisa.”
“ E molto fantasiosa. Non so chi lei sia!”
Cuddy a quel punto tirò fuori da un fascicolo una fotografia, e la spinse sul tavolo verso di House.
“Questa è Natasha Helfer.”
House si trovò a fissare il volto angelico di Six.
“Me la ricordo, ora” sussurrò. “Ma non è successo niente. Cinque minuti ed ero fuori. Questa è pazza!”
“È la tua linea difensiva? ‘Questa è pazza?’” domandò Cuddy.
“Dottor House, per una volta, prenda la cosa sul serio. Questa denuncia può finire in tribunale.”
“Io non ho fatto niente!”
“Lo so! Puoi averla maltrattata e lei ha deciso di vendicarsi, ma va dimostrato. E al momento, c’è solo la tua parola contro la sua. E una diffida ad avvicinarla.”
“Di norma è lei che viene da me, però…” borbottò sottovoce.
Dopo aver appurato che Cuddy gli credeva e forse anche il suo cane da guardia di Yale, House se ne tornò al suo ufficio. Ma essendo il Princeton Plainsboro Teaching Hospital il covo di portinaie che era, per tutta la strada su accompagnato da un seguito di bisbigli e occhiate.
Beh, forse la voce non era ancora giunta al suo ufficio.
Sbagliava. Di nuovo.
Subito Cameron gli fu vicino, chiedendogli come si sentiva con aria apprensiva. Foreman lo guardava con aria di disapprovazione scuotendo la testa e Chase faceva semplicemente atto di presenza. Schivò Cameron che cercava di mettergli una mano sulla spalla e fulminò con lo sguardo Foreman, che come sempre era pronto a pensar male. Prese la sua palla da baseball gigante , e dopo un paio di lanci contro la parete la lanciò contro la testa di Chase, per vedere se era con loro.
“Ahia!”
Bene, era con loro.
“Non vi devo spiegazioni, ma ovviamente le voci sono false. Ovviamente.”
“Ma certo che sono false!” disse Cameron. “Non è la prima volta che una paziente si inventa certe accuse!”
“Però uno si domanda… Cristo, ma quanto male l’hai trattata per farla reagire così?”
“Ad averlo saputo, avrei fatto di peggio. Ma credevo che fosse…”
“Che fosse… cosa?” fece Cameron.
“Niente” minimizzò House. Spiegare che l’aveva trattata male perché pensava che fosse l’allucinazione che gli dava il tormento suonava nell’ordine stupido, incredibile e completamente folle perfino a lui. No, allucinazione no, pensò sarcasticamente, a Six non piace quando le do dell’allucinazione…
Ah, ma se credeva che sarebbe riuscita a fregarlo, quella biondina aveva proprio capito male.
E si riferiva sia a Six che Natasha.

 
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Jade_Cameron
view post Posted on 3/9/2006, 16:07






Avrebbe ripensato alla sua dichiarazione d’intenti riguardo Six e la signorina Helfer. Oh, se l’avrebbe fatto.
Solo che al momento, quando uscì dall’ospedale e la vide lì, vestita in bianco angelico, che parlava con quello che sicuramente era il suo avvocato, semplicemente gli andò il sangue alla testa. Appena fu sola, andò da lei il più velocemente possibile (e ogni passo sempre più felice di aver avuto l’idea della ketamina), deciso a chiudere la faccenda.
“Ti hanno già dato l’Oscar?”
Natasha incrociò le braccia e lo guardò con aria truce “C’è una diffida emessa a suo nome, dottor House. Posso farla finire in galera.”
“Mettiti in fila, bellezza. E soprattutto, inizia a dire la verità.”
“O cosa? Lei ha una reputazione, dottor House… reputazione che non depone a suo favore, ma che di sicuro depone al mio.”
House l’afferrò per un braccio “Non provocarmi, non ti conviene.”
Poi sentì gridare verso di lui “Lasci immediatamente la mia cliente! Ho già chiamato la polizia… ha commesso un errore stupido, dottor House.”
Natasha si liberò dalla stretta del medico, fingendo che tale stretta fosse dolorosa, e interpretò di nuovo la vittima, cosa che le riusciva particolarmente. Quando gli agenti arrivarono, qualche minuto più tardi, non ascoltarono nemmeno quello che House aveva da dire. Lo ammanettarono, lo infilarono in macchina, e House per tutto il tempo continuò a urlare che non centrava, che avrebbero dovuto arrestare quella maledetta bugiarda che al momento stava singhiozzando sulla spalla del suo avvocato… alzando la testa giusto un secondo, per lanciargli un sorrisetto cattivo, e poi ricominciando.
Seduto in una cella, ancora incredulo che fosse realmente capitato a lui, House ripensò al momento in cui si era ripromesso che non si sarebbe fatto fregare.
Scosse la testa, e si diede dell’idiota integrale per essere caduto come una pera nella trappola lampante che Natasha gli aveva teso.
“Ti avevo detto di non farmi innervosire, Gregory.”
House alzò di scatto la testa. Davanti a lui, dall’altro lato delle sbarre, c’era Six.
“Non parlo se in presenza del mio avvocato.”
“Sarebbe saggio. Ma non sono Natasha.”
“Ah no?”
“Dillo.”
“Dire cosa?”
“Tu sai cosa.”
House si alzò dalla panca, e zoppicò fino a quando non fu esattamente davanti a Six.
“Dovrai fare di meglio.”
Six sorrise, poi con un gesto fulmineo fece scattare la sua mano attraverso le sbarre fino ad afferrare il suo collo, e la ritirò fino a far cozzare la testa dell’uomo contro il metallo.
“Vuoi che trovino prove? Posso farlo” gli sussurrò gelida. “Posso farti finire in galera. Posso renderti la vita un inferno. E lo farò, solo perché posso farlo. Dillo!”
Six strinse la mano, e House iniziò a trovare difficile respirare.
“Dillo!”
“Io…” boccheggiò “Io… sbagliavo… T-Tu sei… sei reale.”
Six lasciò andare di scatto la presa e si allontanò di qualche passo, soddisfatta. House si portò una mano alla gola, massaggiando la parte dove Six l’aveva afferrato, e la fissò quasi con odio. Dal minuto secondo in cui quella ‘donna’ era entrata nella sua vita, tutto aveva iniziato ad andare a rotoli…
In quel momento si sentì una serratura scattare, e due agenti fecero la sua comparsa. Nessuno notò Six, che si era appoggiata alla parete, segno che era visibile solo a lui.
“Le accuse sono cadute, dottor House. Una cosa da non credere… la donna che l’accusava è saltata fuori essere una paziente scappata da un ospedale psichiatrico nello stato di New York. L’hanno rintracciata appena visti i movimenti sul conto corrente… dio benedica l’avidità degli avvocati.”
“Visto?” trillò Six. “Tutto a posto. Sei libero!”
“Sono libero?” ripeté House, ma rivolto agli agenti.
“Ma certo, dottore. È libero di andare. Ha bisogno di qualcuno che la riporti a casa?”
“No… “ rispose House, declinando l’offerta. Riavuto il cellulare, chiamò Wilson, e mentre l’amico sparava domande a mitraglia (e dopo aver saputo il fato della sua moto) House staccò l’audio e si addormentò.


 
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MelissaJo
view post Posted on 6/9/2006, 08:19




Jade Jade.... che dire se non "wow!": voglio proprio vedere come svilupperai il seguito :rolleyes: e.... una richiesta da parte mia: se hai la possibilità, non è che potresti postare (magari nel thread di Battlestar Galactica) una foto di Six? Vorrei vedere se corrisponde alla mia nebulosa idea della donna che potrebbe mettere k.o. :shifty: il ns. House.
Grazie per la tua nuova ff :AngelStar14: e, non mi stancherò mai di ripeterlo, ancora complimenti per il tuo stile.
 
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Jade_Cameron
view post Posted on 6/9/2006, 08:51




Grazie Meli!
Un giorno o l'altro mi monterò la testa, e sarà tutta colpa tua, lo sai vero? ;) :D


Non credo di far danno se la posto qui... dopotutto Six è la mia protagonista, e mica tutti guardano BSG!

Eccola qui

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Poi nel thread di Galactica c'è il link a delle sue foto nuove... questa non le fa giustizia del tutto...

E questo è Leoben (compare nel secondo capitolo, e forse anche un po' più avanti. Lo confesso, sono partita per questo Cylon, camicie orride e tutto :AngelStar29: )

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Edited by Jade_Cameron - 11/9/2006, 00:10
 
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Jade_Cameron
view post Posted on 10/9/2006, 22:52




Con tutto quello che gli era capitato, House avrebbe potuto dormire una settimana intera e anche di più.
Six però, che finalmente era riuscita nell’impresa di convincerlo, non era per niente d’accordo sul prendersela comoda… e se ne rese conto anche il dottore, quando risvegliò di soprassalto perché Six gli aveva urlato a pieni polmoni di svegliarsi all’orecchio destro.
“Così va meglio” disse come se niente fosse.
House ponderò per un istante l’omicidio, ma poi ripensò a come quell’angelo potesse trasformarsi in un demonio su tacchi a spillo, e l’idea gli passò subito.
“Che vuoi alle…” e tese una mano per afferrare la sveglia “…sette del mattino?!”
“Il tuo turno inizia alle otto e mezza.”
“Arrivo a mezzogiorno ogni giorno e non s’è mai lamentato nessuno. Beh, eccetto Cuddy, ma si lamenta sempre di tante cose… come si fa a dar retta a tutto quel che dice?”
“Ricomincio a urlare?” lo minacciò Six, sorridendo innocente.
House alzò gli occhi al cielo “Mi alzo, mi alzo…” bofonchiò. Sparito in bagno, Six ne approfittò per drappeggiarsi di traverso sul letto mezzo disfatto.
“Non capisco come un uomo tanto abile a distinguere menzogne e verità possa credere che una menzogna sia la verità.”
“Ma perché aspettavo che una bionda mozzafiato su tacchi a spillo inguainata in un abito rosso coordinato che vedo solo io venisse a dirmelo. Ovviamente.”
“Ovviamente” mormorò distratta Six, che controllava lo stato della manicure.
“E poi… se questa è una menzogna, come dici tu, perché devo seguire le regole? Potrei andare a rapinare banche, per dirne una, e non farebbe nessuna differenza nel mondo ‘reale’.”
“Tu hai creato questo mondo, tu hai creato le regole che lo regolano. Il mio compito è farti ritornare, non farti perdere nei meandri della tua psiche perché un bel giorno hai deciso di mutare l’ordinamento della tua dimensione.”
“Perché se lo facessi…?”
La stava prendendo in giro. Six scosse la testa e fece un respiro profondo.
“Continueresti a vivere in questa assurda fantasia. C’è un motivo particolare per cui hai scelto di vivere a Caprica quarant’anni nel passato?”
House uscì dal bagno, non rasato e arruffato esattamente com’era prima di entrare.
Caprica? E che diavolo è Caprica?”
Questa volta fu il turno di Six di ridere in faccia ad House. Rise quasi fino alle lacrime, mettendosi a sedere e poi alzando lo sguardo sull’espressione stranita del dottore.
“Non ci credo… il dottor Gregory House, genio della diagnostica, primario di Medicina Diagnostica all’ospedale universitario di Caprica City… non sa cosa sia Caprica! Leoben aveva proprio ragione, aver a che fare con la mente umana è proprio divertente… ma come fate ad andare avanti con quei piccoli cervelli umani che vi ritrovate?”
“Sono contento di farti ridere. Che cos’è Caprica?”
Six fece un respiro profondo per calmarsi, e con tono più serio iniziò a spiegare cosa fosse Caprica, anche se la tentazione di rimettersi a ridere era forte.
“In principio c’era Kobol. Ci sei fin qui? E le Dodici Tribù di Kobol…”
“E i sette nani, e la bella addormentata…”
Six lo ignorò e proseguì “Poi un giorno avete lasciato il pianeta, e da lì siete venuti in questo sistema. Avete trovato dodici pianeti, che sono diventate le Dodici Colonie di Kobol. Caprica è il pianeta più evoluto, sede del governo federale, e Caprica City è la sua capitale.”
“No. Questo” e indicò tutto quello intorno a sé con enfasi “Questo è il pianeta Terra! È la Terra!”
“Sì… c’è questa leggenda su una tredicesima colonia chiamata Terra, ma nessuno l’ha mai trovata… forse neanche esiste.”
“No” disse House scuotendo la testa con veemenza. “No, questo è troppo. Tutto quello che mi hai detto… va bene, vuoi che ti dica che ci credo? D’accordo, ci credo! Ma a questo no! Questo sasso in orbita si chiama Terra, non Caprica!”
Six lo fissò con l’aria a metà tra il divertito e il compassionevole di una maestra che cerca di convincere un alunno testardo che due più due fa quattro e non cinque.
“Allora perché non ti guardi meglio attorno, quando vai al lavoro?”
House la fissò furente “Puoi giurarci che lo farò.”
E lo fece. Da casa sua fino al giardino d’ingresso dell’ospedale, guardò ogni singola indicazione, ogni manifesto, tutto quello che gli capitò a tiro. Ad ogni passo, si sentiva più euforico. Non c’era niente che potesse smentire il fatto che quel pianeta non fosse la Terra, e quella città Trenton, New Jersey.
Diede un’occhiata a destra, e Six era lì, senza la minima preoccupazione su quel viso di bambola.
“Non vedo scritto Caprica o Caprica City da nessuna parte” disse piano per non farsi sentire da altri, ma comunque in tono gongolante.
Six non rispose, e si limitò a indicare l’insegna sopra l’ospedale.
Il sorriso di House svanì lentamente, mentre quello di Six si faceva più grande. Camminò fino ad essergli dietro, e poi cinse le sue spalle in un abbraccio.
“Io leggo ‘Ospedale Universitario di Caprica City.’ Dici che ho le allucinazioni?” domandò poi in tono fintamente preoccupato.
“Tu ti stai divertendo enormemente, non è così?” sibilò House tra i denti.
Six si avvicinò al suo orecchio, sempre sorridendo.
“Mentirei se dicessi di no…e so quanto odi i bugiardi...” sussurrò.
House si sciolse dall’abbraccio e si girò a guardarla, ma Six era già sparita. In compenso, varie persone lo stavano guardando in modo curioso.
Dopo averli mandati tutti a quel paese, fece la sua entrata in ospedale. Qualcosa gli diceva che Six era già nel suo ufficio ad attenderlo…
“House!” tuonò Cuddy uscendo dal suo ufficio. “Non credere di filartela così!”
Ecco, a quel punto mancava solo lei. House affrettò il passo.
“Ma non è il punto centrale del non avere più un dolore cronico, quello di potermela filare quando mi pare?” replicò House senza fermarsi, quasi correndo verso gli ascensori.
“E non è un punto del tuo contratto quello di dover fare ore di clinica come tutti gli altri medici?”
“Sì, ma non centrale” disse, infilandosi a passo di carica in un ascensore libero e premendo il tasto del suo piano. “Il punto centrale era la tensione sessuale repressa tra di noi. O era la Diagnostica? La ketamina forse mi ha fritto la memoria a lungo termine, non ricordo…” fece poi fingendo di pensarci intensamente. Mentre le porte si chiudevano, poté vedere Cuddy nella sua migliore espressione di disapprovazione scuotere la testa e andarsene. Ridacchiò, congratulandosi con sé stesso, e andò dai suoi pargoli.
Come aveva previsto, Six era già lì, seduta alla sua scrivania con i piedi sul tavolo appoggiati sopra una pila di cartelle.
“Capisco lei” disse indicando Cameron, seduta davanti al suo portatile “Sull’orlo dell’anoressia ma ha un suo fascino… e anche lui” proseguì, indicando Foreman che si stava versando un caffè “L’unico che ti tiene testa… ma in nome dell’unico vero dio, lui che diavolo ci sta a fare qui?”
Andando per esclusione, l’unico che rimaneva era Chase, intento a fare le parole crociate.
“Sinceramente? Non lo so…” disse a voce normale, dimenticandosi che parlava a qualcuno che non era lì realmente.
D’un tratto si trovò gli sguardi di Cameron, Chase e Foreman puntati addosso.
“Non lo so che vi pago a fare! Non certo per stare qui seduti a fare le parole crociate!” e ordinò al trio di andare in clinica a farsi le sue ore. Scuotendo la testa (Cameron), dandogli del pazzo schiavista (Foreman), o semplicemente guardandolo incredulo ad occhi sbarrati (Chase), i tre assistenti uscirono dalla sala riunioni. Six gli fece un piccolo applauso.
“Bel lavoro. Hai tramutato un errore in una frase di senso compiuto perfettamente in linea col tuo carattere. Bravo.”
“Grazie, faccio del mio meglio” disse House, facendo segno a Six di sloggiare dalla sua sedia. Six per tutta risposta si sistemò ancora meglio, e gli indicò la sedia di fronte alla sua scrivania.
“Esattamente quanto hai intenzione di trattenerti?”
“Gregory, io rimarrò fino a quando tu non deciderai di aprire gli occhi.”
“Per vedere cosa?”
“Tu sai cosa.”
“Ma dai, così è facile! Non puoi essere un po’ più criptica?”
“Tutto ti sarà più chiaro, ma non è ancora il momento. Devi avere pazienza, Gregory.”
“D’accordo” disse House. “Avrò pazienza. Ma se mi chiami un’altra volta Gregory non rispondo di me.”
“Vedremo, Gregory, vedremo.”
Six a quel punto era certa di aver fatto breccia nella testa di House. Certa che da quel momento in poi lui le avrebbe creduto, e si sarebbe potuto iniziare a lavorare seriamente sul riportarlo alla realtà.
Ma ignorava un dettaglio: House era un manipolatore dannatamente bravo, e a breve se ne sarebbe accorta.
Dopo averlo visto al lavoro ed essersi divertita a tormentarlo e a vederlo tormentare gli altri, lo aveva seguito fino al parcheggio, dove la sua moto era ancora lì ad aspettarlo.
House si mise in sella e si infilò gli occhiali da sole.
“Vai dalla mia parte, baby?” disse nella sua migliore imitazione di un bullo anni Cinquanta.
Six lo guardò con aria annoiata, sollevando un sopracciglio.
“Sei veramente uno spasso, Six, bisogna ammetterlo. Vorrei offrirti un passaggio, ma sai com’è, non ho caschi invisibili o coordinati al tuo vestito.”
“Come se volessi salire con te. Ho cara la mia vita.”
“Mio mondo, mie regole. Non l’hai detto tu?” disse accendendo il motore e balzando in avanti con una forte accelerata. Per quando House fu all’imbocco dell’uscita, Six aveva realizzato cosa House avesse realmente intenzione di fare, e che lei era totalmente impotente.

Centoventi. Centotrenta.
House spinse la sua moto ancora più veloce. Amava la sensazione di libertà che la velocità gli faceva provare, quando guidava era felice… era guarito. Stacy non l’aveva mai ferito mortalmente all’anima, la sua gamba era ancora integra, la sua effettiva felicità non dipendeva da un narcotico, da una squillo o dall’alcol.
Centoottanta. Duecento.
Aveva quasi raggiunto il limite di velocità che quella moto poteva reggere, ed era stato fortunato a trovare una strada quasi completamente sgombra fino a quel momento. Non sarebbe mai stato in grado di frenare.
Il semaforo diventò rosso, ma House non frenò.
Un furgone, con il verde, riprese a muoversi, e attraversò l’incrocio.
House vide quel furgone solo quando fu a terra. Aveva solo sentito un impatto fortissimo con il mezzo, e poi l’altro, con l’asfalto. Solo una volta a terra aveva visto che si trattava di un furgone bianco, di una ditta di catering. C’era gente che si affollata intorno a lui, ma non li sentiva.
Sentiva dolore, probabilmente aveva delle ossa rotte nelle gambe e nel costato… forse anche un braccio… meno male che portava il casco…
Venne chiamata un’ambulanza, che lo riportò all’ospedale. Mentre lo portavano dentro su una lettiga, House fu certo d aver intravisto Six. Aveva le braccia incrociate sul petto, e un’aria di profonda delusione in viso. Delusione, e rabbia.
Dopo essere stato stabilizzato, lo tennero in uno dei letti del Pronto Soccorso in attesa che venisse trasferito per fare altri esami. House era pieno di antidolorifico, e pertanto era molto felice e indulgente con il prossimo. Si domandava dove fosse Six. Smise di chiederselo quando vide la donna in fondo al corridoio venire verso di lui. Aveva accanto un uomo vestito con una orrenda camicia a maniche corte, sopra una maglia a maniche lunghe. Aveva capelli biondi corti, e uso sguardo glaciale e penetrante, come Six. A differenza di lei, aveva un sorrisetto divertito in faccia.
“Hai portato un amico?”
“Non provocarmi” sussurrò Six. “Non darmi un motivo per farti del male, più di quelli che già avrei.”
“Mio mondo, mie regole” sussurrò House. “Lui chi sarebbe?” disse indicando con la testa il compagno silenzioso di Six.
“Sai, potrebbe funzionare ugualmente” sussurrò Leoben, senza staccare gli occhi da House. “Simon non ha specificato cosa avrebbe potuto fare la differenza. La psiche è qualcosa di complicato da manipolare.”
“E tu sei esperto al riguardo. Peccato abbia chiesto tardi il tuo aiuto, forse non saremmo qui. Hai suggerimenti?”
“Sì. Non intervenire. Dio è misterioso, e anche il suo disegno. Siamo solo all’inizio del viaggio.”
House intanto aveva chiuso gli occhi, trovava stancante tenere gli occhi aperti. Se così non fosse stato, li avrebbe stralunati appena sentite le parole dell’uomo che Six aveva chiamato Leoben… e che razza di nome era Leoben, comunque?
Si stava per addormentare, lo sentiva… dovevano averlo sedato più pesantemente di quello che aveva pensato all’inizio…
“Non combattere, abbandonati completamente” sussurrò Leoben all’orecchio di House. “Tra breve sarà finito tutto. Sei nelle mani di Dio.”
House sollevò leggermente le palpebre. Miseria, quant’era difficile… Guardò Six, e la rivide identica a quando l’aveva vista la prima volta… quando stava morendo…
Morendo?
L’allarme delle macchine fece entrare medici e infermiere. Leoben e Six guardavano immobili in un angolo, con un’aria indecifrabile.
Furono le ultime cose che vide.

Spalancò gli occhi di colpo, facendo un gran respiro.
“Sono morto” sussurrò. “Sono morto, sono morto, sono morto…”
“Magari” borbottò un vecchio medico che spense una sigaretta in una bacinella di metallo sul tavolo e si avvicinò al suo letto. “Almeno avrei un letto disponibile in più.”
Nonostante lo stato di confusione, non potè fare a meno di sentirsi lievemente urtato. D’accrordo che neanche le sue maniere erano da manuale, ma non era mai arrivato a dire una cosa del genere.
Il vecchio dottore che gli passò davanti agli occhi una luce che per poco non lo accecò disse di chiamarsi Cottle, e gli fece anche qualche domanda, a cui House però non sapeva cosa rispondere.
“Ah, le gioie del coma e della commozione cerebrale… I Cylon ci hanno quasi sterminato, le Colonie sono distrutte, lei è stato raccattato dal tenente Valerii su Caprica e ha perso conoscenza durante il tragitto, probabilmente colpa del salto iperluce. Ci siamo fino a questo punto?”
“E dove sono qui?”
“Non qui” disse Cottle tornando verso la sua scrivania per accendersi un’altra sigaretta. “Non è in un posto con delle coordinate.”
“E allora dove diavolo sono?” quasi urlò House.
Cottle lo guardò quasi divertito.
“Una bella botta davvero, dottor House, complimenti. Lei è a bordo della Battlestar Galactica.”
House lo guardò come se fosse impazzito, e Cottle ringraziò gli dei di essere stato previdente. Prima che potesse dare di matto, agguantò una siringa di sedativo e gliela inserì nella flebo, rispedendolo nell’incoscienza.





Edited by Jade_Cameron - 11/9/2006, 11:54
 
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LaurieLo
view post Posted on 13/9/2006, 18:48






Anche io adoro Loeben!! E pure le tue fic!!!
 
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Jade_Cameron
view post Posted on 14/9/2006, 13:22




Lo! Grazie!

Anche tu fan di Leoben?
Bene, io te e Sol possiamo fondare il suo Fan Club :WhiteHeart00:
Adoro i manipolatori del suo calibro, ma se mi venisse a tiro gli brucerei tutte le camicie. A tutto c'è un limite.
 
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LaurieLo
view post Posted on 14/9/2006, 15:34






quoto!!! a propoosito, vista BSG 2x1, vado a commentare.
 
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Jade_Cameron
view post Posted on 2/10/2006, 12:55





Quando si risvegliò, House si trovò più o meno legato al letto.
“Ehi! Che diavolo significa? Levatemi di dosso queste robe!” iniziò a urlare divincolandosi. Cottle fu subito da lui, con un’altra siringa in mano. Spense la sigaretta (suo malgrado, e per questo maledì House che avrebbe anche potuto aspettare altri due minuti prima di svegliarsi), e sollevò l’oggetto perché lui lo vedesse bene.
“Vogliamo tornare nel mondo dei sogni? Perché se non la pianta all’istante, dottor House, è dove finirà!”
“Mi liberi!”
“Non finché non sarò certo che non darà di matto e si metterà ad aggredire l’equipaggio.”
“Sono calmissimo, non lo vede, dottor… dottor…”
“Cottle” completò il vecchio medico accendendosi una nuova sigaretta.
“È in vena di offrire?” domandò House indicando la sigaretta con la testa. Cottle lo squadrò come se avesse detto una cosa assurda, ma gli avvicinò la sigaretta e gli fece fare un tiro.
“Da che ne so, non ha niente ai polmoni. Un tiro non ha mai ucciso nessuno.”
D’un tratto House trovò il medico molto simpatico. Un po’ meno la donna che aveva iniziato a strillare contro loro due da dietro una tenda.
“Per gli Dei, dottore, vuoi farci crepare tutti di cancro? Questa è ancora un’infermeria quindi spegni quella cazzo di sigaretta!”
House desiderò strozzarla, chiunque lei fosse. Per dirgliene quattro, Cottle aveva smesso di armeggiare con le cinghie di costrizione e si era diretto verso la tenda, scostandola con un gesto brusco.
“Occhio, tenente, potrei decidere che il tuo ginocchio è inguaribile e non rispedirti mai più dentro un Viper. O riempire di fumo la tua linea d’ossigeno.”
“E da chi preferiresti farti urlare dietro? Dal CAG, dal Vecchio, dalla cara vecchia Starbuck o da tutti e tre assieme?”
Per una volta a corto di parole, Cottle si limitò ad ammonire la ragazza minacciosamente con un dito e ad allontanarsi, senza però tornare da House a liberarlo. Stava per dirgliene quattro, a lei e a lui, quando, voltatosi in direzione dell’altro letto, si trovò a fissare due occhi verdi che avrebbero intimidito perfino Vogler , e una gamba infilata dentro un tutore.
“E tu che diavolo hai da guardare?”
“Niente, niente” mormorò House, tornando a fissare il vuoto davanti a sé.
“Aspetta… sarà mica lei il genio della medicina che Boomer ha riportato da Caprica?”
“Boomer?”
“Tenente Sharon Valerii” spiegò la donna. “Boomer è il suo nome in codice.”
House ricordò che Cottle gli aveva detto che un certo tenente Valerii lo aveva portato a bordo del Galactica. Doveva essere lei.
“Sì. Boomer. Mi ha trovato lei.”
“Sembra che Boomer abbia il dono di trovare scienziati utili all’umanità. O a quello che ne resta.”
“Mamma, che fortuna” mormorò sarcasticamente House, contemplando tristemente le costrizioni ancora al loro posto.
“Può dirlo, dottor House” disse un giovane dai capelli scuri e gli occhi blu, che si era avvicinato fino al letto di Kara “È stato dannatamente fortunato.”
Visto che House stava facendo del suo meglio per ignorarlo, Lee Adama si rivolse a Kara.
“Come andiamo, Starbuck?”
“Una favola, Lee. Una fottuta vacanza di piacere. Che ne dici, facciamo a cambio?”
“No, Kara, passo. Mi farebbe piacere una vacanza, ma preferisco l’abitacolo del Viper… Grazie comunque per l’offerta” disse Lee, chiaramente prendendola in giro. Kara ricambiò il sorriso, e gli fece vedere il dito medio.
“Lo spirito c’è sempre, vedo” commentò.
“Sparisci, o potrei decidere di rifilare un gancio a un superiore stronzo.”
“Questa battuta sta diventando vecchia.”
“Ma rimane sempre vera” disse Kara. Poi diede uno sguardo ad House, ancora intento a strattonare le costrizioni, e chiese a Lee di liberarlo.
“E Cottle?”
“Lo stava facendo ma si è distratto” disse House. “Qualcuno” e indicò con la testa Kara “doveva scegliere proprio quell’istante per iniziare a rompere le scatole.”
“Scusa tanto se non volevo finire intossicata!”
“Intossicata tu? E i sigari che ti fumi allora?” domandò Lee sorpreso.
“Non li fumo di certo in infermeria!”
“Ora che lo abbiamo appurato, che ne dite di liberarmi?”
“Conta di uccidere Cottle, dottor House?”
“Potrei farci un pensierino.”
“Lee, slegalo. Non mi dispiacerebbe un po’ d’intrattenimento.”
Lee scosse la testa, ma ubbidì alla richiesta dell’amica. House sospirò di sollievo, e si massaggiò i polsi.
Fatte finalmente le presentazioni ufficiali con il maggiore Lee ‘Apollo’ Adama e il tenente Kara ‘Starbuck’ Thrace, e notata l’assenza di Six, House si rilassò. Che sogno assurdo. Bella sventola, però… chissà da dove l’aveva pescata il suo subconscio.
Accettata l’amnesia retrograda come effetto della commozione, accettato il fatto che il suo pianeta si chiamasse Caprica e che la Terra fosse una leggenda a cui tutti disperatamente volevano credere da quelle parti, e soprattutto accettato che chiunque credeva di conoscere o era morto nell’olocausto nucleare o non era mai esistito, le cose iniziarono ad andare meglio. Gli servirono quei due, tre mesi di rodaggio, e da lì in poi l’infermeria del Galactica poté contare su ben due medici molto bravi e molto scorbutici. Ed essendo uno dei due un civile, era anche quello a cui vennero sbolognate tutte le visite a domicilio, eccetto quella alla Presidente delle Colonie Laura Roslin.
Non l’avrebbe mai detto, ma Six gli mancava. Insopportabile, a tratti pericolosa, ma gli mancava non vederla più in giro su quei tacchi a spillo…
Se Six era stata capace di entrare nella sua testa per cercare di farlo svegliare – e pure quel tipo strano, Leoben – e lui si trovava nella realtà, questo significava che entrambi dovevano trovarsi nella Flotta e dovevano ad un certo punto del suo coma aver interagito con lui. Ma aveva come il sospetto che parlare di quei due avrebbe solo portato problemi. Avrebbe anche dovuto spiegare come li conoscesse, e raccontare di averli incontrati in sogno non era esattamente una cosa da dire, a meno di non voler finire di nuovo legato a un letto mani e piedi. Così decise di non dire niente e di tenere gli occhi aperti.
Poi un giorno colse un brandello di conversazione che decisamente non avrebbe mai voluto sentire.
“Tu lo trovi divertente, ammettilo!”
“Gaius” disse una voce fin troppo nota “È irrilevante quello che penso io. Questa è la volontà di Dio.”
“Sembri un disco rotto.”
“Ma è la verità…” disse Six, con quel suo tono che indicava sempre che si stava divertendo un mondo. Poi diventò seria, e disse all’uomo di nome Gaius che qualcuno li stava ascoltando.
House scelse quel momento per entrare. Aprì la porta del laboratorio del dottor Gaius Baltar, si guardò intorno, e vide solo Baltar.
“Ma chi diavolo…? Oh, dottor House, a che devo il piacere della visita?”
Stava letteralmente sudando freddo.
“Avevo sentito una voce che conoscevo. Una voce di donna.”
Baltar smise di farsi venire un attacco cardiaco per un paio di secondi. Lui aveva realmente sentito Six che gli parlava, quando nessun altro ne era in grado? Chi diavolo era realmente?
Subito il suo cervello si mise al lavoro. La sua posizione era estremamente precaria, a bordo del Galactica e della Flotta. Roslin non si fidava di lui, e gli serviva una via di fuga, fino al prossimo momento in cui quella donna non avrebbe desiderato gettarlo fuori da un portellone perché lo sospettava di essere un Cylon.
“Era… era la radio. Un vecchio sceneggiato su cd che ogni tanto ascolto…Sono un sentimentale, anche se non si direbbe…”
House fece un’espressione dubbiosa “E il protagonista aveva la sua voce? Dottor Baltar, alla stupidità esiste un limite, e anche se lei sembra interessato ad oltrepassarlo in questo momento, di sicuro non lo farò io.”
In quel momento, Baltar si voltò verso il bancone dov’erano allineate le sue provette, lanciandogli un’occhiata fulminante, poi come se niente fosse tornò a rivolgersi al medico, cercando di ostentare una calma che non aveva.
“Senta, dottor House, lo vede da sé che qui non c’è nessuno. La figura dello stupido, con tutto il rispetto, la sta facendo lei.”
“E lei la figura dello schizofrenico. Se è la mia alternativa, allora sono stupido e felice di esserlo!”
“Le serviva qualcosa?” domandò freddamente Gaius, che se odiava venir tacciato di stupidità, da quando Six era nella sua vita odiava ancora di più venir tacciato d’essere folle.
“Glielo farò sapere, se mi servirà qualcosa. Dottor Baltar” disse House facendo un cenno di saluto.
Una volta scomparso dietro quella porta di metallo, Six ritornò visibile e appoggiata al bancone delle provette.
“È carino. Oh, perché Dio non ha voluto che fosse lui a custodire le chiavi della sicurezza delle Colonie?”
“Molto d’aiuto. Ultimamente lo sei stata spesso” disse sarcasticamente Baltar, ritornando al microscopio. Six camminò sorridendo dietro di lui, aspettò alzasse la tesa dal microscopio per scrivere un’annotazione, e afferratolo alla nuca gli fece sbattere con violenza la testa contro il tavolo.
“E ora stammi a sentire bene” sibilò. “Non mettere mai più in dubbio la mia utilità, se non vuoi che Shelley Godfrey o un’altra come lei faccia la sua comparsa a bordo del Galactica! Potrebbe non andarti bene come l’altra volta…”
Totalmente spaventato dalla minaccia della sua amante cylon, che includeva anche rendere noto all’opinione pubblica che il vicepresidente delle colonie si era macchiato del genocidio della sua stessa razza perché non sapeva tenersi i pantaloni addosso, si fece tutto orecchi quando Six gli suggerì come guadagnare tempo e levarsi dalle scatole il nuovo genio di bordo nello stesso momento. Non lo avrebbe ammesso, ma se prima era da lui che andavano, ora che era arrivato House la sua stella era andata offuscandosi, una cosa che il suo ego semplicemente non ammetteva.
Aveva diagnosticato delle patologie mortali quasi senza mezzi, se il ginocchio di Starbuck era ritornato perfettamente a posto era merito della sua testardaggine (gesto che gli aveva garantito la stima eterna della pilota), e anche le emicranie della signora Tigh avevano trovato una cura, dopo essere state bollate come lo sfogo di un’ipocondriaca e nevrotica. Quest’ultima ci aveva provato spudoratamente, e aveva dovuto fare davvero del suo peggio per farla sloggiare. Pertanto quando Six gli suggerì di farlo passare per un agente cylon infiltrato nella flotta, fu estremamente felice di muoversi in tal senso. Doveva solo trovare il campione di sangue del buon dottore che gli era stato senza dubbio consegnato.
Nel frattempo, House aveva smesso di pensare a quello che per spina dorsale e carattere avrebbe fatto sembrare Chase uno tosto e risoluto, per preoccuparsi di qualcosa di più grave: la sua gamba aveva ripreso a fargli male, tutt’a un tratto e molto forte. La giovane marconista, Dualla, aveva dovuto sorreggerlo per farlo arrivare in infermeria. Lì, Cottle sentenziò che qualsiasi terapia del dolore avesse fatto su Caprica, aveva smesso di funzionare.
“Terapia? Sono stato un paio di settimane in coma farmacologico indotto dalla ketamina!”
“Come ti pare, House. Ha smesso di funzionare comunque!”
“Non doveva durare tanto poco. Bene, dovrai rifarmi la somministrazione.”
“Non penso proprio.”
“Credevo ti servissi.”
“È così, ma mi servono di più i narcotici! E la quantità necessaria a mandarti ko non mi posso permettere di sprecarla. Ci sono altri antidolorifici, usa quelli.”
“Fottiti, Cottle” sibilò House, che chiaramente non si aspettava quella risposta.
“Volentieri ma non sei il mio tipo. Ora ingoiati le dannate pillole e fa il tuo lavoro!”
Mugugnando, House fece quel che Cottle gli aveva gentilmente suggerito, ma iniziò a puntare con lo sguardo l’armadietto dove Cottle teneva le armi pesanti. Doveva solo aspettare il momento in cui Cottle si fosse allontanato…
Quasi come se l’avesse chiamato, l’assistente della Roslin venne a chiamarlo di corsa dicendo che il presidente era appena svenuta nel centro di comando.
“O Dei, ci mancava anche questa… Stavolta bisognerà ricoverarla” borbottò il dottore levandosi il camice e correndo fuori con i due paramedici del suo staff. House a quel punto, veloce come un fulmine, aprì l’armadietto e altrettanto velocemente ispezionò con lo sguardo i nomi delle medicine. Trovato il suo vecchio amico Vicodin, afferrò la confezione e se ne versò metà in un portapillole, che fece sparire nella sua tasca dei pantaloni. Quando Cottle ritornò con gli altri, spingendo una lettiga con sopra Laura Roslin attaccata ad una bombola d’ossigeno, si precipitò ad aiutare anche lui, finalmente scoprendo che la first lady di ferro della flotta era malata terminale di cancro.
Ma la sorpresa più grossa arrivò quando la Roslin fu finalmente stabilizzata e per lui fu possibile staccarsi dal suo letto. Il comandante Adama lo fece condurre fuori dall’infermeria, dicendogli che aveva bisogno di lui e contemporaneamente chiedendo delle condizioni della Roslin.
Capì che con l’inganno lo aveva condotto fino alla prigione di bordo quando ormai era troppo tardi.
“Comandante” domandò con tutta la calma possibile “Che diavolo sta succedendo?”
“Niente, dottore” rispose Adama, con lo stesso tono “Solo una precauzione. I test fatti su di lei dal dottor Baltar hanno dato un esito… interessante.”
“Che test?”
“Testiamo il sangue di tutti i membri della flotta per cercare agenti cylon. Il suo non è definitivo.”
“E così mi rinchiudete? Oh no, neanche per idea…”
Tutt’intorno a lui risuonarono i click delle armi da fuoco a cui veniva tolta la sicura.
House alzò lentamente le mani, e sempre sotto tiro entrò nella sua cella.

E due. Una volta in sogno, e un’altra nella realtà.
Questa cosa era assurda… no, peggio. Perché Kara gli aveva raccontato per filo e per segno del cylon di nome Leoben che lei aveva dovuto interrogare (e aveva dovuto fare uno sforzo per non farle capire di aver già sentito quel nome. Un altro set di domande a cui non sapeva e forse non voleva rispondere). Delle sue manipolazioni, di come sembrava conoscerla. E soprattutto di come la donna attaccata al respiratore in infermeria lo avesse fatto sbattere fuori da un portellone senza battere ciglio. Se il test tornava indietro dicendo che era un cylon, era quello che lo avrebbe aspettato. Aprì il barattolo delle sue pillole, e ne mandò giù qualcuna. O più di qualcuna, non stette a guardare. Meglio essere completamente fatto, forse avrebbe attutito l’assurdità della situazione… lui era umano, per l’amor del cielo…
“Siamo nei guai, Gregory?”
Si voltò verso l’interno della sua cella. Six era seduta sulla sua sedia. Rise.
“Tu non sei davvero qui.”
“Ricominciamo? Credevo che ormai avessi capito.”
“Tu e il tuo amichetto Leoben… siete Cylon . Che diavolo centrate con me?”
Sentì un altro rumore di tacchi alle sue spalle. Voltandosi, si sentì vicino all’infarto.
Un’altra Six. Questa era diversa… oltre a essere vestita di nero, aveva un’aria diversa. Cattiva. Divertita dalle sue miserie.
“Troppo intelligente per il tuo stesso bene, dottore. Era meglio se non ti immischiavi.”
Le due Six poi si squadrarono con due sguardi che avrebbero potuto uccidere. House andava con lo sguardo da una all’altra, incapace di credere a quel che vedeva. Aveva davvero sentito la voce di Six da Baltar, allora… ma non della sua Six. Dalla conversazione irata che le due stavano conducendo, sembrava proprio che la Six in nero fosse l'ossessione privata di Baltar… Baltar era un collaboratore dei cylon, e aveva incastrato lui per distogliere l’attenzione da sé stesso! Se solo avesse avuto la possibilità, avrebbe fatto secco con le sue mani quel figlio di…
Improvvisamente, iniziò a non sentirsi bene. Tutto iniziò a girare, e si ritrovò carponi sul pavimento della cella. C’era solo Six, la sua Six, con lui. Vedeva che parlava ma non la sentiva… lesse sulle labbra di lei che le dispiaceva di averlo lasciato solo… aveva la stessa espressione di quando l’aveva vista la prima volta, durante il suo infarto…
Prima di perdere conoscenza di nuovo, vide che il suo portapillole era vuoto.
Ne aveva ingoiate molte di più che qualcuna…

“Un altro arresto cardiaco…” mormorò Simon. “Carica le piastre a duecento” disse ad una delle sue copie attorno al letto del loro paziente, e questa gli passò subito i defibrillatori una volta pronti. Il corpo sussultò sotto la scarica elettrica, ma il cuore non ripartì. Tentarono una seconda, e una terza, dopodiché rimasero in attesa. Fortunatamente non furono delusi, e il battito ritornò.
“Come sta andando?” mormorò Doral, entrando nella stanza della struttura medica cylon di Delphi, su Caprica, assieme ad una copia di D’Anna Biers.
“Lo abbiamo ripreso, ma non accenna a svegliarsi.”
“Numero Sei ha problemi a ricondurlo sul giusto sentiero” mormorò Leoben, giunto qualche istante dopo Doral, assieme a un paio di Six.
Six lanciò un’occhiataccia a Leoben, mentre l’altra sorrideva beffarda “È testardo. Passa da una realtà all’altra, ogni volta convinto che sia la sua realtà e che sia sveglio.”
“Inutile dire che ci serve” disse Simon. “I nostri studi per la creazione di un ibrido cylon/umano stanno rallentando, e finora non hanno avuto il successo che ci aspettavamo.”
“Non accetterà” replicò D’Anna. “Stiamo perdendo il nostro tempo.”
La seconda Numero Sei disse che se fosse stato per D’Anna, non lo avrebbero neanche salvato dalle macerie dell’ospedale di Caprica City in primo luogo.
“Se si sente al sicuro nelle realtà che si crea, quando si sveglierà dovremo prepararci ad assecondarlo” mormorò Leoben.
“Sono d’accordo” disse Six. “Se crederà di trovarsi tra umani, sarà più facile convincerlo a cooperare...”
“Se non lo farà neanche in quel caso” interruppe D’Anna “verrà eliminato. Credi di farcela, Numero Sei?”
Six guardò Numero Tre con il desiderio di metterle le mani addosso. Sapeva bene che considerava chiunque la pensasse diversamente da lei sugli umani degno di finire incapsulato, senza possibilità di essere trasferito mai più in un nuovo corpo. Non era un mistero che era quello che stava cercando di fare con un’altra Numero Sei, l’eroina di guerra nota come Caprica Six. Stirò le labbra in un sorriso forzato.
“Nessun problema.”



 
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LaurieLo
view post Posted on 4/10/2006, 11:29






jade: :Azzurro05: :Azzurro05: :Azzurro05:
 
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MelissaJo
view post Posted on 4/10/2006, 11:46




O perbacco! Jade, aiuto! sono più confusa di House.... :blink: nuovi personaggi (manco un nome mi ricordo, sono svantaggiata dal non avere ancora visto il telefilm, ma m'impegnerò), House che passa da una realtà all'altra (ma qual'è quella vera?), la trama che si complica, ...... o mamma miaaaaaaa! :AngelStar20: sono precipitata nel mondo virtuale creato da Jadeeeeeee!!! qualcuno mi aiuti a risvegliarmi, per favoreeeeee!....... ......... però.... :unsure: aspetta un attimo.... se House sarà al mio fianco in questo mondo irreale.... e magari anche Leoben..... ok, ho cambiato idea, lasciatemi immersa in quest'universo ancora per un po' che vedo se ci sono sviluppi interessanti :shifty:
Jade, a parte gli scherzi, grazie :Azzurro23: ! sto stampando il capitolo x rileggermelo bene stasera a casa.
Fai gli auguri a Six che sospetto dovrà faticare non poco per assicurarsi la cooperazione di House :D
 
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Jade_Cameron
view post Posted on 4/10/2006, 14:11




Grazie! :GrazieGrazie:


CITAZIONE
se House sarà al mio fianco in questo mondo irreale.... e magari anche Leoben.....

:AngelStar01: un'altra per Leoben! Il fan club cresce!


Oddio, Meli, ero convinta di aver postato le note esplicative !
Mamma, che svampita che sono in sti giorni...

Rimediamo e andiamo in ordine:
Kara Thrace: pilota da combattimento sempre nei casini per un motivo o per un altro, gioca d'azzardo, fuma sigari, beve solo fino all'eccesso (sua stessa ammissione), ed è la ex fidanzata del fratello defunto di Lee Adama. Secondo gli shipper Kara/Lee sarebbe innamorata di lui ma non vuole ammetterlo.

Lee Adama: irreprensibile e ligio al dovere, figlio del comandante (ora ammiraglio) della flotta, amico di Kara. Ora si è inquartato come un vitello all'ingrasso e si è sposato Dualla.

Bill Adama: É Adama. Il mito. Bisogna vederlo in azione per capire.

Dott. Baltar: l'essere più geniale, codardo, narcisista, egocentrico, smidollato mai esistito. Totalmente succube di Six.

Laura Roslin: prima dell'attacco era il sottosegretario all'istruzione. Dopo, si è ritrovata a fare il presidente. Dall'attacco non ha mai fatto una piega, se non per il cancro al seno che avrebbe dovuto ucciderla, e avrebbe è la parola chiave.

E ora i Cylon:

Numero Tre (D'Anna Biers): nella flotta ha l'identità di una reporter. Per il resto tende a comportarsi da leader autoimposto. Quando aveva i capelli scuri, andava sotto il nome di Xena, principessa guerriera.

Numero Cinque (Aaron Doral): prima dell'attacco si occupava delle pubbliche relazioni a bordo del Galactica. Con una gran dose di fattore C, Baltar lo identifica come Cylon senza avere prove, e lo mollano al deposito militare di Ragnor a farsi friggere le sinapsi di silicio da una tempesta elettromagnetica.

Numero Sei (Shelley Godfrey): la sua versione nota come Caprica Six è quella che ha sedotto Baltar prima dell'attacco per farsi dare i codici di sicurezza della difesa, e che lui vede nella sua testa. Un giorno lui la fece arrabbiare. Lei scomparve e comparve Shelley Godfrey nella flotta, che a momenti lo fece finire molto male. Imparata la lezione, Shelley sparì e six ritornò.

Leoben Conoy: intelligente e manipolatore, assieme a Doral per me è uno dei più pericolosi. Sapesse anche vestire, non lo fermerebbe nessuno.
Primo Cylon a essere identificato. Ad Adama è bastata un'occhiata o quasi, e gli ha fatto la festa colpendolo in testa varie volte con una torcia.
Pareva quasi Arvin Sloane.

Simon: è il medico della brigata. Studia i metodi di riproduzione e di concepimento per arrivare alla creazione di un ibrido cylon/umano.

E prima che la storia finisca potrebbero fare una comparsata anche loro due:
Fratello Cavil: dovrebbe essere un prete. Dovrebbe. Ma dopo aver visto lo sneak peak della 3.01, farei la festa a quel b@st@rdo senza battere ciglio.
se ora penso che uno degli umani sia un agente dormiente è colpa sua.

Sharon Valerii: Numero Otto, la poverina non sapeva chi era quando ha tentato di fare la festa al Comandante Adama. Poi la festa la fecero a lei.
Nel frattempo su Caprica una sua copia si faceva mettere incinta da quel poveraccio di Helo che non aveva la minima idea della verità. Tra tutti, è quella che pensa di essere più umana che cylon.


Un po' più chiaro ora?

Ciao! :GrazieGrazie:

 
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MelissaJo
view post Posted on 23/10/2006, 10:23




Mille grazie Jade! :AngelStar14: anche qui stampo e rileggo con calma, almeno provo a memorizzare i nomi.
Tu però continua a postare (appena puoi naturalmente), io voglio leggere il seguitoooooo!!! su su dai, non farti pregare, sii buona :AngelStar09:
 
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Jade_Cameron
view post Posted on 7/11/2006, 13:09




Eccomi! :AngelStar09:

Con la presente annuncio che con massimo altri due capitoli, ho finito.
L'ultimo sarebbe la spiegazione sul perchè House sia andato a impelagarsi proprio con Six, ma non so se postarla come storia a parte...

Anyway, ecco il nuovo capitolo!

Quando House riaprì gli occhi e si ritrovò di nuovo in un letto d’ospedale, desiderò poterli richiudere all’istante e ritornare nell’incoscienza… per sempre. Ogni volta credeva fosse la volta buona, ogni volta era puntualmente smentito. E a dirla tutta, d’accordo che tra alcol, Vicodin, la moto e una certa tendenza all’autodistruzione si poteva perfino pensare che avesse un desiderio di morte, ma fino a quel momento aveva sognato di morire già due volte ed entrambe in modo traumatico. Beh, forse non la seconda, ma era avvenuta in una cella di una nave militare, e il come c’era finito poteva essere considerato traumatico.
Mosse gambe e braccia, felice di notare di non essere legato, e cercò di ascoltare i rumori del posto dove si trovava. O meglio, la loro assenza. Avrebbe potuto giurare di essere da solo…
Un rumore di passi in avvicinamento lo portò a fissare attentamente la porta. Subito entrò un medico di colore con in mano la sua cartella. Per un istante pensò a Foreman… ancora non riusciva a credere che lui, Cameron, Cuddy e gli altri fossero stati solo un parto della sua immaginazione.
“Bentornato tra noi, dottor House.”
“Ci conosciamo?”
“Non di persona, ma ho letto le sue pubblicazioni. Sono il dottor Wilson, Simon Wilson, comunque.”
“Felice di conoscerti, Simon Wilson. Si possono avere degli antidolorifici in questo posto?”
“Farò il possibile, ma li stiamo razionando. Dopo l’attacco si sono interrotti tutti i rifornimenti, e i sopravvissuti sono…”
L’attacco. Caprica. L’olocausto nucleare a cui aveva sognato di scampare.
“Dì la verità, doc. Non ce ne sono. Dopo un bombardamento del genere… e io, come diavolo…?”
“Un caso molto fortunato. L’onda d’urto di una testata ha distrutto l’ospedale, ma lei e qualche altro che si trovava nel parcheggio vi siete salvati.”
“E i miei colleghi? E parlando di ospedali, perché qui c’è tanto silenzio?”
“Siamo due medici, e cinque maestre che fingono di essere infermiere. Nessuno del Caprica City Hospital, mi dispiace. Per il silenzio… la maggior parte dei nostri pazienti è affetto da un avvelenamento acuto da radiazioni…”
Questo mi ricorda qualcosa, pensò House, pensando al caso di Carnell e di suo padre. Anche se nel loro caso non centravano testate nucleari ma un pezzo di metallo radioattivo.
“I sintomi” continuo Simon “sono una forte stanchezza e nausea immediata. Sono seguiti da vari giorni di relativo benessere… dopodiché, la morte cellulare nel tessuto gastrico e intestinale causa forte diarrea, emorragia intestinale e perdita di liquidi. Non è bello, ma è…silenzioso.”
House annuì silenziosamente.
“Sì, ma gli antidolorifici” disse un paio di secondi più tardi. “C’è modo di averne? Perché se non l’ha visto, ho un muscolo in meno nella gamba, ed è una cosa abbastanza dolorosa.”
Simon fece una faccia come per dire ‘Ma ha sentito quel che ho appena detto?’, ma preferì tacere.
“Il Demerol non mi fa schifo, ma se ci fosse del Vicodin sarei più felice.”
“Vedrò in medicheria” rispose il dottore scrivendo qualcosa nella sua cartella e poi uscendo.
Quella frase e il tono che aveva usato Simon piacevano poco ad House. Molto poco. Ed approfittando del fatto di non essere legato, tentò subito di alzarsi in piedi ed eventualmente provvedere da solo. Con un po’ di fatica riuscì a mettersi seduto da un lato del letto, e stava riprendendo fiato quando sentì ancora rumore di passi. Impossibilitato a ritornare nella posizione precedente in tempo utile, si rassegnò a essere beccato…
Senza voltarsi, vide con la coda dell’occhio un uniforme rosso scuro – sicuramente una delle maestrine/infermiere – entrare nella stanza ma non avvicinarsi.
“E va bene, m’hai beccato. Ma gli antidolorifici li posso avere comunque?”
Sentì una risatina sommessa, e fu quello che lo spinse a voltarsi per guardare la donna.
Si trovò sorpreso a fissare gli occhi azzurro ghiaccio di Six.
“Perché non sono sorpresa di questa tua iniziativa?” disse la donna, mettendosi di fronte al dottore.
House era ancora incredulo. “Che fine hanno fatto vestito rosso e tacchi a spillo? Erano entrambi cari al mio cuore in egual misura… e ti stavano da dio, ad ogni modo.”
“Allora mi ricordi. Bene, questo semplifica le cose.”
“Semplifica cosa?”
“Quello che devo spiegarti. Molti pazienti non ricordano quando qualcuno cammina nei loro ricordi.”
“Nei miei ricordi? Tu non eri nei miei ricordi! E che diavolo intendi con ‘camminare’?”
“Ero io, nella tua testa. Cercavo di indurti a svegliarti… ma non ho fatto un’entrata molto precisa. Anche tu non hai fatto molto per aiutarmi a farti svegliare! Il tuo subconscio mi ha fatto una guerra serrata, ti portava ogni volta in un posto diverso e dovevo ricominciare da capo.”
“Dimmi che non sei una maestrina diplomata e che sapevi quel che facevi.”
“Sono un aiuto del dottore.”
House notò che non aveva risposto alla domanda, ma per il momento andava bene così. Le chiese il nome, e lei sorridendo gli disse ‘Aiuto del dottore’.
“Non hai un nome? Perché mi piacerebbe davvero saperlo.”
“Non è il momento” disse lei controllando la flebo e rimettendolo a letto. “Ma presto lo sarà.”
E non si stava solo riferendo al momento in cui gli avrebbe detto o meno il suo nome, House ne era certo.
“Sarà il momento… per cosa?”
“Per molte, molte cose.”

La sua bionda infermiera non scherzava. E nemmeno il medico che gli aveva mandato la sorte. Lo rimisero in piedi in men che non si dica, ma niente bastone, andato distrutto durante il bombardamento. House malvolentieri accettò la stampella che Six gli offriva, e con quella fece il gran tour dell’ospedale assieme a lei e Simon.
“Prima dell’attacco era una struttura psichiatrica, che abbiamo riconvertito in un ospedale. Dello staff insufficiente le ho già parlato, dottor House, per questo sarei molto felice se lei ci desse una mano…”
House però lo interruppe subito con un’osservazione “Salvate solo le donne? Perché sembra discriminazione.”
“Perché dice questo, dottor House?”
“Perché, dottor Wilson, non ho visto un solo uomo a parte me e lei da quando sono uscito dalla mia stanza e abbiamo iniziato questo giro. Ed è quello lì” disse indicando l’infermiere che conosceva come Aaron Doral.
“Sono in un’altra ala, con l’altro medico di questa struttura. Lei è stato ricoverato qui perché avevamo più stanze libere, e perché così è stato possibile tenerla in isolamento. Abbiamo pochi farmaci, e quasi nessun antibiotico. Le infezioni sono i veri killer da queste parti.”
“Capisco. Proseguiamo.”
Tuttavia, non era del tutto convinto. Il sogno che aveva fatto prima di svegliarsi, l’ultimo, continuava a passargli davanti agli occhi. Dopo aver passato due mesi in balia di sogni più reali della realtà, si sentiva incline a fidarsi più del suo inconscio che di quello che stava vedendo.
Era quasi curioso di nominare la parola ‘cylon’ e vedere che succedeva.
Se poi non lo fece, è perché Simon lo mise subito al lavoro, a fare analisi su analisi. Si scusò dicendo che era una cosa provvisoria, e House accettò senza protestare. Gli serviva calma, e il laboratorio gliel’avrebbe garantita. Giustificò la grande abbondanza di campioni di tessuti e ovaie appartenenti a donne con quel che Simon gli aveva spiegato sul genocidio e sull’importanza delle donne fertili, e non si fece più domande.
Almeno fino a quando non si trovò tra le mani una provetta etichettata ‘Thrace, Kara’.

Rimase a fissare quel campione con sguardo allibito per un discreto ammontare di tempo.
Kara, la ragazza che aveva conosciuto nel suo sogno… era reale? Come diavolo era possibile?
Six aveva sempre detto che non apparteneva alle realtà che vedeva, ma non aveva mai avuto nessun indizio che fosse lo stesso anche per lei!
Una volta fatto un respiro profondo, decise di applicare un po’ di razionalità e il Rasoio di Occam. Cos’era più probabile, che si trattasse della stessa Kara Thrace o di un caso di omonimia?
L’omonimia era l’opzione più sensata, e decise di tenersi a questo, rimettendosi al lavoro.

Intanto, D’Anna stava chiedendo a Doral, Six e Simon cosa pensassero di House.
“Accetterà?”
“È presto per dirlo” disse Simon. “Al momento l’ho messo a lavorare in laboratorio. Appena sarò certo che non creerà problemi, potremo portarlo a contatto con le pazienti alla fase uno.”
“Devi avere pazienza, Numero Tre. Non è una cosa semplice” aggiunse Six.
“Per lui, noi o te?” domandò la donna, con un sorrisetto sgradevole.
Six si ritrovò gli sguardi di tutti puntati addosso, e maledì quella strega una volta di più.
“Se facciamo un passo sbagliato…”
“Muore. Eravamo d’accordo così, giusto?”
“Dio ha voluto che sopravvivesse al bombardamento della sua città. L’ha risparmiato. Vuoi saperne più di lui?”
Simon e Doral andavano con lo sguardo da Six a D’Anna, che ora si fronteggiavano silenziosamente. D’Anna fu la prima a rompere il contatto.
“Ovviamente no. E poi, chi sono io per mettere in dubbio la volontà di Dio? Come vuoi tu, Six, avrà tutto il tempo che vuole. Ma” e si voltò a parlare con Simon “voglio che venga istruito al più presto su quello che facciamo qui… su quello che lui crederà di fare qui.”
Salutò brevemente Six, e poi se ne andò con gli altri due. Six la guardò andar via. D’Anna voleva solo una scusa in più di quelle che già aveva per liberarsi di lui, e doveva stare molto attenta a non essere proprio lei a dargliela.

Ignaro di quanto realmente la sua vita fosse appesa ad un filo, House concluse il suo terzo giorno di lavoro al laboratorio. Per quanto si sforzasse, l’occhio continuava a cadergli su quel referto.
Kara Thrace.
Aveva deciso che era solo un caso di omonimia, ma non riusciva a smettere di pensare che, forse, il rasoio di Occam non si poteva applicare a quello che stava sperimentando.
Due secondi più tardi, era fuori dal laboratorio e alla ricerca di Kara.

Edited by Jade_Cameron - 8/11/2006, 23:53
 
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Jade_Cameron
view post Posted on 14/11/2006, 00:25





Non si poteva dire che House fosse religioso. Non nel senso stretto del termine, e sicuramente non come lo erano le persone intorno a lui.
Ma appena rinvenne dal colpo in testa che aveva ricevuto si mise sinceramente a pregare Dio, o chiunque ci fosse lassù, che quella realtà fosse un’altra dei suoi incubi.
Alla fine, aveva trovato Kara, per quanto incredibile poteva essere. L’aveva vista su una lettiga, priva di conoscenza, mentre veniva portata in una delle sale operatorie. Aveva sentito Simon, e un altro dottore identico a lui da poter essere il suo gemello, discutere sulla rimozione di una o di entrambe le ovaie del tenente Thrace per la ‘fase due’.
Cercando di nascondersi ai due, e ad una donna bionda che avevano chiamato Numero Tre, aveva cercato di aprire varie porte, tutte però chiuse. Quando aveva creduto di non avere più chance, la serratura della porta che stava tentando di aprire aveva ceduto, permettendogli di entrare.
Se non avesse sentito i passi dei due Simon e di D’Anna nel corridoio, sarebbe uscito da quel piccolo museo degli orrori all’istante.
Conservati in vasi di vetro c’erano tutti gli esperimenti genetici falliti condotti da Simon dall’occupazione di Caprica. House aveva osservato turbato le etichette dei vasi, che indicavano lo stadio di sviluppo del feto, cosa fosse successo, e il numero del tentativo. Il numero più alto che vide era il numero 289, abbastanza da farlo rabbrividire. La causa era sempre la stessa, aborto spontaneo, e lo stadio di sviluppo più avanzato mai raggiunto sembrava essere la dodicesima settimana. C’erano dei casi di sviluppo ulteriore, ma presentavano malformazioni.
House aveva indietreggiato di qualche passo, chiudendo gli occhi. Quella non poteva essere la sua realtà, doveva essere un incubo, doveva esserlo per forza…
Un rumore alle sue spalle lo aveva fatto voltare di scatto.
D’Anna. Numero Tre.
“Sapevo ci avresti creato solo problemi”aveva sibilato, e poi l’aveva colpito alla testa con un tubo di metallo.
Stava ancora cercando di capacitarsi di quanto era successo quando la porta della cella dove ora si trovava si aprì, facendo entrare Numero Sei.
“Non avresti dovuto vedere quella stanza. Non subito.”
“Non subito. Quindi tu sapevi.”
Six annuì.
“Siamo cylon.”
“Lo so. Lo sospettavo… anche se non so perché…”
“Hai una domanda da farmi. Falla.”
“Che diavolo state facendo?”
“Non possiamo riprodurci. Non possiamo adempiere al comandamento del nostro Dio, ‘siate prolifici’. Voi potete. Vi è tanto facile che lo date per scontato. E quindi…”
“Quindi quei feti sono ibridi cylon e umani?”
“Sono tentativi. Abbiamo ancora molto da imparare al riguardo.”
“È per questo che ci sono tante donne… vi servono gli ovuli prima, e loro dopo, come incubatrici…”
Six annuì di nuovo, ma non rese più facile ad House credere realmente a quello che aveva appena detto.
“Sei un medico estremamente abile, Gregory. Potremmo imparare molto da te.”
“Ed ecco perché sono qui e vi siete dati tanta pena per farmi svegliare… spiacente di deludervi, le mie specializzazioni non riguardano la sfera riproduttiva.”
“È il tuo cervello che ci interessa” continuò Six. “Il tuo intuito e la tua intelligenza.”
“Voi state scherzando…”
“Numero Tre ti vuole morto. Le stai dando il pretesto che cerca.”
House si fece una risata, e gli disse che facesse pure.
“Tanto mi risveglierò da qualche altra parte nella stessa situazione di partenza!”
“No, non lo farai. Non stai sognando, non più.”
“Porta qui quella psicopatica e vediamo chi ha ragione.”
Numero Sei scosse la testa, disse che lo avrebbe lasciato riflettere e sarebbe ritornata più tardi, nonostante House continuasse a urlare che non avrebbe più creduto a niente di quello che gli avrebbe detto.

Quando sentì la porta riaprirsi, stava per dire a Six che aveva una strana concezione del tempo da lasciare per una riflessione. Erano sì e no passati venti minuti.
Poi guardò meglio la figura vestita di bianco sulla soglia, e la riconobbe come D’Anna.
“Scusa non vorrei sbagliare. Qual è il tuo numero?”
D’Anna sorrise, piegò leggermente la testa da un lato, e sollevò la pistola che teneva in mano.
“Non credo che dove andrai ti servirà.”
House cercò di sembrare almeno un poco terrorizzato all’idea di stare per morire, ma la verità era che voleva quasi mettersi a ridere e dirle di darsi una mossa con quel grilletto. Tanto sarebbe ricominciato tutto da capo, da qualche altra parte. La sua vita sembrava un’immensa e interminabile processione di morti e risvegli…
Quando Six arrivò alle spalle di D’Anna con un estintore in mano e le fracassò il cranio, non poté fare a meno di sentirsi deluso.
“Vieni con me” disse con un tono che non ammetteva repliche, e House le andò dietro. Evitando gli altri cylon, lo condusse fuori dalla struttura e gli diede un’arma.
“L’ultima volta, sono venuti da là” disse indicando un punto. “Dovresti trovarli, se vai in quella direzione.”
“Trovare chi?”
“La resistenza umana.”
Ora House era confuso. Six non aveva cercato di convincerlo a collaborare appena trenta minuti prima?
“Perché lo stai facendo?”
“Se avessi sperimentato l’amore, non dovresti chiedermelo.”
La confusione aumentava. E doveva aver capito male, perché non poteva essere possibile che Six gli avesse appena detto che…
Il rumore pesante dei passi dei Centurion e delle voci dei cylon di forma umana interruppe i suoi pensieri.
“Dannazione, Numero Tre ha fatto presto con il download…” mormorò Six. Poi ritornò a rivolgersi ad House “Non c’è più tempo, vai!”
Non c’era davvero più tempo. House vide il piccolo drappello di robot che si avvicinava, assieme ad alcuni Doral, Simon, Six, e ad una D’Anna fresca di download in un nuovo corpo e parecchio alterata.
Non vide però i Centurion che erano stati adibiti al controllo del perimetro e che erano stati chiamati in quella zona. Quando Six sentì alle spalle il rumore inconfondibile dei loro artigli che si ritraevano per lasciar posto alle armi da fuoco, riuscì solo a fare una cosa.
Tentare di salvare la vita all’uomo che aveva smesso di essere un semplice incarico più o meno dieci secondi dopo averlo conosciuto.
House sentì la donna afflosciarsi contro di lui, e la sorresse meglio che poteva. Six posò la sua testa sulla spalla di House, sapeva che era finita, ma prima c’era ancora qualcosa che doveva dirgli…
“Cercami, House. Shelley Godfrey… ricordatelo…”
Six spirò qualche istante più tardì, e House sentì cedere le ginocchia. Si ritrovò a terra senza neanche accorgersene, sempre con il suo corpo esanime tra le braccia, e fu solo quando si chinò a guardarla notò il sangue. Tutto il sangue che macchiava gli abiti di Six e i suoi, ma che, notò, non proveniva da lei. Cadde a terra, e ancora la teneva stretta. Sentiva i passi di marcia dei Centurion, le voci ormai indistinte degli altri cylon… più si avvicinavano più li sentiva distanti…
Ma ormai non gli interessava più. Non gli interessava più niente…


Cuddy entrò nella stanza di House, come aveva fatto ogni giorno nell’ultimo mese ogni volta che poteva. Aveva fatto come House aveva voluto, lo aveva messo in coma farmacologico anche se aveva delle enormi riserve sulla sua richiesta di usare un anestetico potente come la ketamina, che avrebbe potuto distruggergli il sistema nervoso centrale. Aveva sospeso la somministrazione quella mattina, com’era d’accordo anche con Wilson, Cameron, Foreman e Chase, e da quel momento tutti erano in attesa di sapere se la cura era riuscita e se House si era svegliato.
Si avvicinò per leggere i monitor a cui era collegato, annotando i valori nella cartella, e si fermò a guardarlo sospirando, posandogli una mano sulla sua.
Stava per toglierla e andarsene, quando sentì distintamente la mano sotto la sua stringersi a pugno. Cuddy non poté evitare di sorridere, e strinse la presa.
“House? House mi senti?” disse cercando di fargli avere un’altra reazione. House mosse la testa, e Cuddy continuò controllando come rispondeva agli stimoli in base alla scala di Glasgow.
Concluso l’esame, spedì un’infermiera a tenerlo d’occhio e si precipitò dai quattro dottori che l’attendevano nella sala riunioni come aveva detto loro via cercapersone.
“Allora?” domandò Wilson, sottintendendo la domanda che tutti volevano fare, ovvero ‘Come sta?’.
Cuddy rivolse loro un espressione fintamente scocciata “Ci romperà l’anima per ancora molto tempo a venire.”
Tutti nella stanza ricambiarono il suo sorriso mentre se ne andava.

***

Ci siamo quasi...

Quello che Six dice ad House in originale suona più o meno come 'If you had experienced love, you wouldn't have to ask' e Numero Sei lo dice a Numero Tre nel primo trailer della season 3 di BSG. Che centra? Centra, centra... ;)



 
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25 replies since 3/9/2006, 11:11   586 views
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