MAI GIOCARE CON IL FUOCO (III parte)
V.M. 18
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La situazione stava degenerando: Chase cercò di appiattirsi contro il letto, ma il materasso era morbido e la mano di House riuscì ad infilarsi sotto e giungere alla tanto sospirata cerniera.
- HOUSE!!!! – Chase cominciava ad andare in panico: non riusciva più a muoversi e quando sentì la calda mano lisciare il pelo al sempre più disgraziatissimo gatto in calore che stava facendo le fusa, ai piani alti si scatenò la più completa baraonda.
Chase sentiva la testa girargli e il corpo iniziare a tremare: provò con le suppliche, poi con le minacce, ma House era ormai completamente fuori controllo, non gli sarebbe importato neanche se Chase gli avesse fatto notare che la sua riserva di Vicodin stava andando a fuoco e visto che già non gli prestava troppa attenzione quando era in sé, in questa circostanza era assurdo pensare che sentisse anche una sola parola.
Quando poi pantaloni e boxer scivolarono in basso e si sentì un’altra cerniera aprirsi, Chase si sentì perduto: l’ultima cosa che poteva provare a fare era tenere chiuse le porte sperando che l’ariete nemico non riuscisse a sfondare, ma quel bastardo di House stava di nuovo insinuandosi tra le sue gambe (come cavolo faceva con la gamba malata ad avere tanta forza?) e le ante della porta non sembravano più troppo serrate.
Se almeno l’avesse piantata di accarezzare il gatto!
Sentì il calore del fratello che cominciava ad insistere per entrare e poi il fiato di House sull’orecchio.
- Chase, sto scoppiando! Puoi cercare di resistere, ma ciò mi costringerà solo a farti molto male, o puoi lasciarti andare e finirà prima di quanto pensi e poi non è piacevole?
Nonostante l’ammutinamento del corpo la mente insisteva nella sua granitica convinzione che no! Non era piacevole un cavolo essere stuprati dal proprio capo impasticcato!
Ma visto che il corpo si stava facendo i cavoli suoi ed anche rispondendo alla mente non poteva effettivamente fare niente, con una sola lacrima la mente diede forfait: che finisse il prima possibile e il più indolore possibile.
Chase si lasciò andare cercando di rilassarsi.
“Cercare” non vuol dire “riuscire” e comunque i muscoletti addetti alla porta non erano abituati a far passare, e per giunta dalla direzione sbagliata, masse così grandi per cui il secondo punto andò a farsi benedire.
Il dolore fu lancinante e per un momento anche il deficiente davanti smise di fare le fusa: c’era qualcosa che non quadrava rispetto alle altre volte.
Chase strinse i denti e artigliò le coperte: il primo padre era stato un bastardo e la figura sostitutiva era un deficiente ed un violentatore e comunque poteva archiviarla nei ricordi dolorosi. Col cavolo che sarebbe riuscito di nuovo a fidarsi di lui o appoggiarsi – tra l’altro solo per rovinare miseramente a terra quando House si spostava all’ultimo momento! Il che avveniva sempre, figlio di “bip”!!
Ma poi l’intruso andò a sfiorare un punto ed una scossa elettrica gli attraversò il corpo, togliendogli il respiro.
Lo struscio si ripeté e l’animale davanti decise che, qualunque cosa stesse succedendo lì dietro, non era per niente spiacevole… magari senza il dolore sarebbe stato meglio, ma pazienza, dopo quasi tre mesi di solitudine ci poteva passare sopra… e ricominciò a fare le fusa, sotto la mano esperta di House.
- MA CHE CA…! HOUSE! Oh cielo!!!
Chase affondò il viso tra le coperte, mentre la sua ragione decideva di darsi momentaneamente alla macchia, non prima di aver capito, alla fine, perché i gay trovavano tanto piacevole una pratica che dal di fuori appariva solo dolorosa.
I conti con la coscienza, l’inclinazione sessuale naturale e i conseguenti sensi di colpa erano rimandati.
Il dolore divenne sordo e più accettabile, mentre il piacere andò - un po’ colpevolmente… ma solo un po’- aumentando, nonostante le spinte si facessero più decise.
I
l risultato fu che quando House raggiunse l’orgasmo, Chase riuscì per poco a sentirsi disgustato dal fatto che il suo capo stesse marcando il “territorio”, travolto a sua volta dalla “marcatura” della coperta e della mano di House.
L’indemoniato, finalmente placato, gli crollò addosso, metà addormentato e metà svenuto e Chase, per niente desideroso di affrontare il “dopo” , decise di restare calmo e cercare di dormire anche lui: voleva che House gli si svegliasse addosso e capisse quello che aveva fatto… ed era una scena che non voleva perdersi per nulla al mondo… poi avrebbe meditato la vendetta… a mente un po’ più fredda perché al momento era tentato di ucciderlo nel sonno… e sperava che la coperta del letto fosse molto costosa e delicata!
THE DAY AFTER
House prese lentamente coscienza dell’ambiente intorno a sé: un occhio semiaperto per un secondo registrò le prime luci dell’alba.
Decisamente troppo presto per alzarsi.
Poi, mentre la mente non cercava ancora di mettere a fuoco la realtà, il suo corpo si fece consapevole della compagnia alla quale era abbarbicato, accompagnato dal piacevole profumo di uno shampo alla mela verde…
… cercò di ricordarsi quale ragazza avesse chiamato la sera prima, ma non lo ricordava…
… e poi come mai era ancora lì?... Di solito andavano via subito…
… e poi la mente si svegliò di colpo perché quello che riposava sotto la sua mano era difficilmente associabile ad una qualsiasi parte anatomica femminile!
Spalancò gli occhi e si ritrovò a fissare una massa di capelli biondi familiari!
Il sangue gli si ghiacciò nelle vene, mentre schizzi di memoria ingarbugliati gli ridavano comunque la terrificante consapevolezza di ciò che, all’incirca, era accaduto la sera prima!
Con i denti serrati cercò di allontanarsi delicatamente dal corpo addormentato - non ti svegliare proprio adesso! - House aveva bisogno di riordinare le idee, prima di potere affrontare l’orribile situazione.
Mentre la memoria riconquistava campo ad alta velocità – quella dannata droga non aveva neanche il pregio di lasciarti nella beata incoscienza dei gesti sconsiderati compiuti – House si avvicinò in punta di piedi alla porta e cercò di aprirla… solo che era chiusa.
- Hai gettato la chiave sull’armadio.
House si paralizzò, poi, molto lentamente, si girò, addossato alla porta, quasi volesse mimetizzarsi con il legno, ma la cosa risultava alquanto difficile.
Chase lo stava fissando mentre si alzava a sedere sul letto… o almeno ci provava perché una parte del suo corpo stava vivamente protestando per gli straordinari costretta a prestare la sera prima.
House non riusciva a vedere bene gli occhi del suo assistente e non riusciva a percepirne l’umore: terribile shock? Terribile dolore? Terribile rabbia?
Sempre lentamente, cercando di passare inosservato – la razionalità, se mai c’era stata, non era ancora ricomparsa – House a fatica salì su una sedia accanto all’armadio e recuperò la chiave, quindi ridiscese, aprì la porta e si fece da parte, perché Chase, rimessi a posto gli indumenti, si stava avvicinando.
Si fermò ad un passo da lui, gli occhi chiari incredibilmente scuri.
Si fissarono.
Quindi Chase si diresse alla ricerca del bagno mentre House, steso a terra da un diretto particolarmente ben piazzato, guardava il soffitto pensieroso: l’ago delle probabilità era virato decisamente su “terribile rabbia”.
Chase passò un tempo considerevole in bagno, cercando di togliersi di dosso l’odore del bastardo e rimuginando sull’opportunità di stendere il nemico alla prima possibilità invece di perdere tempo con idioti progetti a lungo termine. Questo diede tempo ad House di ricordare i particolari più infimi della disgraziata serata, fare un veloce mea culpa ed elaborare una strategia per affrontare la sua vittima.
Quando Chase uscì si decise a provare a parlare: cautamente si avvicinò all’altro
- Chase…
Chase gli diede un calcio al bastone e velocemente si spostò di lato mentre House osservava di nuovo da vicino le piastrelle del pavimento.
Quindi andò a sedersi, mooolto cautamente – la protesta era ancora in corso – sul divano e fissò l’altro.
- Da adesso in poi avvicinati a me a meno di un metro e sai copsa ti aspetta.
House si rialzò a fatica e si sedette su una sedia.
- Senti…io…
- Immagino che tu abbia considerato che potrei denunciarti per violenza carnale.
House alzò gli occhi su Chase: questa volta l’aveva combinata davvero troppo grossa.
- Per cui discutiamo il risarcimento, sempre che tu voglia continuare ad esercitare la professione medica e vivere libero.
House guardò basito il suo assistente
- Mi vuoi ricattare?
Chase fece una smorfia
- Ricattare vuol dire estorcere ingiustamente qualcosa ad un altro in cambio del proprio silenzio. Non giudicherei la mia azione “ingiusta” o tu pensi di essere una povera vittima di quella droga cattiva che ti è stata somministrata con l’inganno?
House non poteva replicare: pensò a dove teneva il libretto degli assegni.
- quanto vuoi?
Chase sorrise maligno
- Non “quanto”, ma “cosa”
House lo guardò interrogativo
Chase si mise comodo (si fa per dire)
- Primo: la devi piantare di insultarmi, in particolare con termini come “incompetente” e “nullità”. Tra l’altro ho risolto due casi senza il tuo aiuto, contro quota zero di Foreman e Cameron e a parte che nel primo caso mi hai ringraziato con un pugno, erano insulti assurdi e senza fondamento.
Secondo: per i prossimi tre mesi, eventualmente di più, manderai gli altri due a fare i lavori sporchi e con ciò intendo dal recupero di liquami vari all’infrazione di domicilio dei pazienti.
Terzo: il mio turno finisce alle 5:30 e non mi chiederai di fare un minuto di più ed i miei turni notturni del prossimo mese li fai tu, visto che tanto devi comunque rimanere fino alle 10:30. Perché quella faccia? Oh, non te l’ho detto? No, non me ne hai dato la possibilità, visto che eri già in calore.
Beh, te lo dico adesso: se non riportavi le cartelle alla Cuddy entro la mezzanotte – e non lo hai fatto – dovevi fare 150 ore in più in un mese.
Quarto: le tue paturnie scaricale su qualcun altro da oggi.
Quinto: mi riservo di aggiungere condizioni nei prossimi giorni.
Sesto: che diavolo ha il nostro paziente attuale?
House, ancora non completamente ripresosi dalla storia delle 150 ore in più - avrebbe dovuto allisciare accuratamente la Cuddy - tirò di nascosto un sospiro di sollievo: se Chase era in grado di pensare al loro paziente non doveva stare poi così male.
E le richieste non erano eccessive … poteva starci… e poi era giusto: Chase non era un incompetente… ed ultimamente era stato sempre al suo fianco, perdonandogli tutto ciò che aveva combinato, pronto ad aiutarlo e dimostrandogli un affetto sincero (almeno fino alla sera prima)… un po’ come un cagnolino?... Fido? Bobby? Botolo? Un nuovo soprannome al posto di Nullità era facile da trovare! L’avrebbe accontentato.
Note: la versione è leggermente diversa da come l’avevo pensata all’inizio, ma mentre stavo scrivendo il finale, io sono una di quelle che non si ricorda mai di salvare, c’è stato uno sbalzo di corrente causato da un fulmine, lontano ma ugualmente disastroso, e il computer si è disattivato. Dopo aver rivolto tutti i termini meno eleganti che conosco al fulmine, tra l’altro isolato, ed essermi morsicate le mani per paura che fosse partito l’hard disk come all’altro PC, alla fine della pioggia ho provato a riaccendere: il PC sembra incolume, ma logicamente metà file, non salvato, era disperso ed io non riesco mai a riscrivere uguale… e la prima volta sono sempre più ispirata della seconda.
Spero comunque che vi piaccia ^____^
PS: veramente mi stanno venendo idee per il seguito